Se non ricordo male, Norberto Bobbio diceva che la storia della cultura e politica, divisa in “destra e sinistra”, si perde nella notte dei tempi. E tanto basta a dedurre che non c’è politica nuova che non abbia qualche “illustre” antenato nei millenni passati. E che è un imbecille atto di presunzione ritenere costruttivo per la sinistra, discreditare e sabotare la destra, e per la destra il sabotaggio della sinistra.
Il secolo scorso si è chiuso col fallimento del nazifascismo poi seguito dal fallimento del comunismo. Ma come era prevedibile, i popoli democratici, proprio perché liberi di governarsi, hanno reintrodotto dalla finestra le stesse ideologie cacciate dalla porta.
La sinistra comunista e la destra fascista (per ultimo nobilitata liberista), convivono ancora da cane e gatto a livello planetario. Ed è un bene che non sia sparita né l’una, né l’altra, perché solo una criminale falsificazione culturale e politica può convincere i popoli liberi che un sistema sociale comunista è perfettamente funzionale per gli imprenditori sui quali grava il costo complessivo dello Stato; così come il sistema liberale è a misura per lavoratori dipendenti e per la marea crescente di individui incapaci o impossibilitati a produrre.
Corbellerie. Lo avranno capito anche gli idioti che il sistema comunista è un inferno per imprenditori onesti; così come il liberale lo è per lavoratori onesti.
L’Italia ha una quantità spaventosa di poveri, disoccupati, sottoccupati, cassintegrati, invalidi e pensionati; ma quelli che si arrendono sono gli imprenditori con un carico di incombenze burocratiche e fiscali omicide, a dimostrazione che non basta definire liberale il sistema Italia per renderlo funzionale ai lavoratori autonomi, se poi sul groppone li si scarica il peso economico dell’intero popolo, a prescindere che produca utile o danno alle imprese.
Allora è evidente che un popolo libero non può disfarsi del libero mercato per non morire di fame in un sistema comunista. Ma non può disfarsi nemmeno della politica comunista che è garanzia di sopravvivenza per quella marea crescente di soggetti che non hanno l’attitudine a produrre autonomamente. Quindi è chiaro che nelle democrazie la competizione fra imprenditori e lavoratori, ricchi e poveri, vecchi e giovani, uomini e donne, istruiti e ignoranti, non genera civiltà ma barbarie.
E chi lavora per attizzarla, o è un farabutto o è matto da legare. Perciò ha fatto benissimo Renzi a muoversi politicamente da eretico sdoganando Berlusconi. Perché è la cooperazione, non la competizione fra classi sociali a garantire pace e civiltà: cioè futuro. Tutto il resto è guerra civile camuffata da politica democratica.
Ed è semplice capire perché l’Umanità si è salvata per millenni col potere culturale, economico e politico concentrato nelle mani dei ricchi sfruttatori e non di rado anche assassini; mentre rischia di estinguersi ora che le legali conquiste sociali dei lavoratori hanno corroso il potere dei ricchi fino a farli fuggire come lepri alla vista del cacciatore (vedi Fiat).
Perché i ricchi non campano due giorni di seguito se non sfruttando al doppio ogni soggetto produttivo: assumendolo come lavoratore e servendolo come consumatore. Mentre i poveri e i pensionati campano da dio a spese dei ricchi fino ad estinguerne la razza e poi a spese dello Stato fino a portarlo al default.
E’ allucinante che la salvezza dei popoli possa dipendere solo dal crimine dei padroni e non dalla legalità dei lavoratori, ma è così. Il rapporto numerico lavoratori-padroni è pericolosamente sbilanciato (una volta lessi 93 a 7 e ora credo sia peggiorato); e sfruttando l’enorme massa dei lavoratori, si riesce a salvare gli imprenditori. Ma nessuna salvezza dei lavoratori (non abbastanza produttivi per la fame insaziabile del fisco) potrà scaturire dallo sfruttamento dei padroni, perché ai padroncini non resta che il suicidio dove comandano i lavoratori e ai padrononi la fuga.
Possiamo quindi concludere che il comunismo è una bellissima utopia; ma senza libero mercato, non si va da nessuna parte.
Nei popoli liberi è impensabile che il potere sia lasciato nelle mani solo dei ricchi o solo dei poveri, solo dei padroni o solo dei lavoratori; perciò sarebbe igienico che entrambi seppellissero l’ascia di guerra per cercare una “politica biclassista” che faccia i ricchi meno rapaci e i poveri meno parassiti. Alla faccia dei sindacalisti, politici e giornalisti arruffapopoli, abituati a spegnere gli incendi sociali col lanciafiamme.
Tanto c’è poco da falsificare; le responsabilità dello sfascio sono chiare pure allo scemo del paese. La crescita del PIL in un sistema sociale, garantisce che il potere dei ricchi è in crescita; mentre il calo del PIL (la recessione senza via d’uscita, l’esplosione di fallimenti e disoccupati, e la crescita incontenibile di debito pubblico), garantiscono che per i ricchi che non sono scappati nottetempo in mutande, tira aria di ghigliottina comunista.
Ora non ditemi che ancora non mi sono spiegato perché l’Italia si è trasformata da Paese di lavoratori emigranti, in Paese di padroni delocalizzanti. Grazie all’istruzione di massa, il potere è scivolato forse irreversibilmente dai padroni ai lavoratori, che ora possono incassare e spendere ricchezza senza garantire profitto alle imprese o allo Stato o garantendo fallimenti a catena; possono istigare al suicidio gli imprenditori e indebitare lo Stato, in attesa del collasso. E tutto a norma di legge, tutelato e garantito da magistrati e giornalisti con prosciutti interi incollati sugli occhi.
Ieri era il crimine dei padroni la disgrazia dei popoli; ora è la legalità culturale, sindacale, giudiziaria, burocratica e politica dei lavoratori a mettere in fuga i padroni e portare i sistemi sociali prima al default e poi alla guerra civile.
Lo Stato ha tutto il potere di decidere (attraverso il costo del lavoro e il fisco) quanti lavoratori tenere attivi e quanti lasciare a spasso o peggio distruttivi. Ma i soldi per mantenere inoperosi quei soggetti, e in aggiunta la classe dirigente parassita, corrotta e ladra, che finge di governarli, lo Stato non può caricarli sul groppone dei piccoli imprenditori onesti che non hanno le risorse per fuggire da l’Italia come i grossi, e fino ad istigarli al suicidio, perché questo è un feroce crimine da Stato totalitario di cui ben presto dovranno vergognarsi l’Italia e l’intera Europa.
Featured image, Stalin a 23 anni, nel 1902.