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Nuovo articolo di Maria Teresa Siciliano! Una bellissima analisi della storia d'Italia e dell'anima dei suoi cittadini attraverso due delle opere cardine della nostra letteratura: Pinocchio di Collodi e Cuore di De Amicis. Un articolo da non perdere!
Nell’estate del 1957, cioè dopo la I elementare, mio zio Franco, maestro, mi regalò una vecchia copia di Pinocchio di Collodi, tenuta insieme con il nastro adesivo. Forse chi mi conosce sospetterà che non mi piacque affatto. Invece, quando un anno e mezzo dopo, su suggerimento della maestra, a scuola comprammo e facemmo arrivare una copia a testa di Cuore, le cose andarono molto diversamente e quel libro costituì il filo conduttore della mia esperienza scolastica.Del resto le due opere, uscite rispettivamente nel 1883 e nel 1886, spopolavano da settant’anni nella scuola di base italiana, ma erano profondamente diverse. Cuore era fortemente radicato nella cultura risorgimentale della classe media del settentrione e ci dice molte cose di come venne allora impostata l’unificazione amministrativa e culturale del nostro paese. Pinocchio presentava un punto di vista più filopopolare e rifletteva semmai la cultura della campagna toscana, assurgendo però ad un umanesimo più universale, tanto è vero che è stato tradotto ed è conosciuto ancor oggi in tutto il mondo.Sul romanzo di De Amicis ha pesato all’epoca del Sessantotto la condanna di Umberto Eco, che ne accentuò molto gli aspetti perbenisti borghesi, arrivando alla rivalutazione di Franti, che invece nel libro rappresenta il Male.In realtà, se si legge in modo sufficientemente oggettivo, non possono non colpire certi aspetti, che poi non sempre saranno frequenti nel nostro paese. Innanzitutto lo spirito risorgimentale che già individua in Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II e, udite udite, Mazzini gli artefici della nostra unificazione nazionale. Poi un atteggiamento interclassista e inclusivo verso i cittadini dell’Italia meridionale, ma anche verso tutti i ceti operai fino agli alcolizzati e agli ex carcerati. Lo spirito che si respira è certo sentimentale (quanto abbiamo pianto da bambini su quelle pagine!), ma soprattutto eminentemente laico. Niente messe, processioni, feste del santo patrono. Una morale incentrata sulla famiglia e sulla scuola e sul principio di autorità, rigorosa, ma aperta all’accoglienza verso tutti quelli disposti a integrarsi.Profondamente diversa l’atmosfera di Pinocchio. Collodi aveva pensato inizialmente a qualcosa di breve e solo sotto la pressione del pubblico cambiò il finale (in cui il protagonista moriva impiccato) e prolungò il romanzo fino alla trasformazione in bambino.L’intenzione pedagogica è anche qui evidente, ma per la maggior parte i lettori condividono soprattutto il momento della trasgressione, cioè tutti gli episodi in cui Pinocchio, dopo aver fatto tanti buoni propositi e aver vissuto periodi di obbedienza alle regole, disobbedisce fino a partire verso il Paese dei balocchi, dove si gioca tutto il giorno e non si studia mai, salvo poi svegliarsi una mattina con orecchie lunghe e pelose e trasformarsi, guarda caso!, in asino.Quali erano davvero le intenzioni di Collodi? Questo strano personaggio, un burattino e non un essere umano, che ha una specie di padre, cioè il falegname che l’ha fabbricato, ma non ha una madre, solo un’aiutante che prima è una sorellina, poi una specie di madre che però finisce per essere spesso assente nelle emergenze. E Pinocchio si muove in un mondo senza legge, in cui può essere raggirato e derubato e finire in prigione, al posto dei ladri, proprio per la colpa di essersi fatto imbrogliare. Un mondo senza famiglia e senza stato.Cosa pensava l’autore quando scriveva il finale? Davvero voleva insegnare ai bambini a praticare le regole morali, onorare il padre e la madre (o i loro sostituti), rinunciando a seguire la spinta all’egoismo? Oppure pensava con rammarico al fatto che crescendo e inserendosi nella società si finisce per tradire se stessi?Confesso che l’interpretazione dell’opera come romanzo di formazione è sempre stata quella che mi ha convinto di più. Questo pensavo fin da bambina, quando avevo imparato a memoria le ultime pagine, in cui finalmente Pinocchio la smette di fare lo zuzzerellone e impara a gestire la propria vita.In questa direzione mi è sempre piaciuto molto il Pinocchio di Comencini, di chiara matrice sessantottina, in cui Geppetto/Manfredi vorrebbe restare nel ventre del pescecane, dove al momento c’è calore e cibo, e ha paura di cambiare e di rischiare. E solo a fatica (perché è vecchio, dice) arranca dietro a Pinocchio, che invece vuole andare avanti e costruirsi un futuro nuovo e migliore.Forse, in qualche modo, questi due grandi libri rappresentano il bipolarismo dell’anima italiana: da una parte l’esigenza delle regole, che però non riusciamo quasi mai a costruirci, dall’altra l’egocentrismo e la tendenza all’anarchia.
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