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In Giappone gli dei della morte sono detti Shinigami (da shi, morte, e kami, dio/dei) e vengono citati spesso e volentieri nella cultura popolare. Se però l’accostamento con il manga “Death note” (tanto per fare un esempio abbastanza recente) è lampante, quello con un’opera “per famiglie” come “Tonari no Totoro”, di primo acchito, non è affatto evidente. Insomma, sto dicendo che secondo voci insistenti (ma non confermate) il simpatico personaggio creato da Hayao Miyazaki, in realtà, non sarebbe altro che uno Shinigami...!
Basta fare una breve ricerca in rete per accorgersi che sono moltissimi i siti e i blog, anche in lingua inglese, che da tempo sostengono questa tesi e la cosa, com’era prevedibile, ha scatenato le ire dei fan più accaniti, che si sentono defraudati di un mito. Io ho scoperto Totoro solo da adulto, quindi non ho corso il rischio di rovinare un tenero ricordo della mia infanzia, ma posso capirli. Anche voi, naturalmente, siete liberi di pensare che siano tutte bufale, che questa non sia altro che una leggenda metropolitana che, sulla falsariga delle teorie cospirazioniste che ormai spopolano ovunque, cerca di trovare significati nascosti anche ove non ve ne sono. D’altra parte, è vero che quando si vuole trovare a tutti i costi qualcosa la si trova, mentre è impossibile vedere ciò che non si vuole vedere.
Se avete letto il post precedente conoscete già, a grandi linee, i dettagli del caso Sayama, un rapimento avvenuto nel 1963 e culminato con un omicidio. Ebbene, a quanto pare i punti in comune con la famosissima opera di Miyazaki sono diversi, comunque abbastanza da far pensare che l’ispirazione all’autore sia venuta proprio da quel triste fatto di cronaca. Il racconto delicato e poetico che ha per protagoniste le sorelle Satsuki e Mei, dunque, parlerebbe di morte?
Prima di trarre qualsiasi conclusione, esaminiamo i fatti, le prove a favore di questa tesi e le controprove, partendo dalla trama de “Il mio vicino Totoro”. Chiaramente dovrò inserire diversi spoiler ma, andiamo, c’è ancora qualcuno che non ha mai visto questo film??
Le protagoniste sono due sorelle di 11 e 4 anni, Satsuki e Mei Kusakabe. Quando la storia comincia, le due bambine con il loro papà sono appena arrivate nel piccolo paese di campagna dove si trova la nuova casa di famiglia, sia per poter stare vicino alla madre che è ricoverata nel vicino ospedale, sia per poterle offrirle un luogo il più salubre possibile dove ristabilirsi non appena sarà stata dimessa. In quell'ambiente bucolico la natura ha un lato oscuro, sovrannaturale, che non tarda a manifestarsi: la casa è infestata da piccole creature chiamate “nerini del buio” o “corrifuliggine”.
Quelli che in italiano sono detti “nerini del buio” in lingua originale vengono chiamati susuwatari (煤渡り) o makkuro kurosuke (真っ黒黒助). Questo secondo nome, se non ho capito male, sarebbe una sorta di gioco di parole tra due espressioni che significano all'incirca “nero come la pece” e “signor nero”, e farebbe riferimento all'illusione ottica (delle macchie nere) che si sperimenta muovendosi velocemente dalla luce al buio. Questo è il primo nodo del film. Si sostiene che, come del resto anche Totoro, i susuwatari siano degli Shinigami e appaiano a coloro che stanno per morire. Questa idea (ma lo vedremo meglio poi) è rafforzata dall’apparizione, più avanti nel film, di un nekobus, ovvero un gatto a forma di autobus (oppure un autobus a forma di gatto, fate voi), che sarebbe un mezzo di trasporto per l'aldilà…
Un’anziana vicina di casa dei Kusakabe, cui le due bambine si affezioneranno subito e chiameranno Nonnina, racconta loro che quegli strani esserini sono degli spiriti in genere innocui che infestano i luoghi disabitati, e che probabilmente ora che la casa ha di nuovo degli occupanti umani traslocheranno da un’altra parte. Gli adulti non sono in grado di vedere i susuwatari, aggiunge la donna: e difatti né lei né il padre delle bambine sembrano percepirli.
È bene precisarlo subito, i susuwatari sono delle creature fittizie, sono cioè nate dalla fantasia di Miyazaki, non appartengono al folclore “ufficiale”. Si tratta certamente di yokai, ma se Miyazaki avesse voluto renderli paurosi non gli avrebbe donato un aspetto carino e simpatico (sono in effetti delle palline nere, pelose, dotate di occhietti tondi e piccole zampette), né avrebbe alleggerito la narrazione con musica allegra e situazioni “leggere”, da commedia, come del resto si confà ad un prodotto destinato a un pubblico di tutte le età. La questione è controversa perché in teoria, se un autore crea un personaggio appositamente per un’opera, per definirlo bisognerebbe limitarsi a quanto viene detto e mostrato nell’opera stessa; e d’altra parte, se un autore vuole creare una storia con più livelli di lettura (un significato esteriore, rassicurante, e uno “occulto” e magari meno rassicurante, o comunque non rallegrato da un lieto fine nel senso stretto del termine), non può rendere così immediata la loro comprensione. E allora? Come se ne esce? Ebbene… se si vuole anche solo prendere in considerazione l’idea che la storia di Totoro abbia più livelli di lettura, dobbiamo per forza accettare questa ipotesi.
Ma torniamo alla trama del film. Mentre Satsuki è a scuola, Mei, come Alice sulle tracce del coniglio bianco, trova delle ghiande per terra e, seguendone la scia, vede altri due yokai, uno minuscolo e con il pelo bianco e l’altro un po' più grande e di colore azzurro. Seguendoli lungo un sentiero che si snoda tra gli arbusti, Mei arriva fino a un grande albero di canfora: l’albero si rivela cavo e la bambina ci cade dentro. All’interno, tutto è calmo e placido e uno strano essere dal buffo aspetto dorme profondamente. Mei lo scambia per un troll e per questo lo ribattezza Totoro (storpiando involontariamente la parola “tororu” (トロル), il nome giapponese dei troll. È possibile che l'associazione di Totoro con gli Shingami sia stata suggerita anche dal fatto che al troll sono comunemente attribuite caratteristiche negative), dopodiché anche lei si addormenta.
Quando si risveglia, però, non è più dentro l’albero ma sotto ai cespugli, dove la sorella e il padre l’hanno trovata. Mei chiama il nome di Totoro, ma lui non c’è, allora lei riferisce del suo incontro al padre e alla sorella e tutti insieme cercano di ritrovare il sentiero che porta all’ingresso dell’albero, ma questo sembra svanito nel nulla. A quel punto il padre, per consolarla, dice a Mei che certamente quella creatura è uno spirito protettore della foresta, e per questo non a tutti è concesso di vederlo. Tutti e tre, allora, si fermano a ringraziare il grande albero per essersi preso cura di Mei.
Come anche i susuwatari, Totoro - anzi “i” Totoro, contando anche quello bianco minuscolo (chibi) e quello piccolo e azzurro (chu) incontrati per primi – dimensioni da orso a parte, non ha affatto un aspetto pauroso; anzi così com’è, un incrocio tra una grossa talpa, un procione e un gufo, è piuttosto buffo, e come si può notare in questo e nei successivi episodi dimostra anche di avere un animo gentile.
Una sera, sta piovendo e Satsuki decide di attendere alla fermata dell’autobus il padre che sta per rientrare dal lavoro. Mei la segue, ma lui è in ritardo e Mei finisce per addormentarsi sulle spalle della sorella. Anche Totoro si reca alla fermata del bus: Satsuki gli offre l’ombrello che aveva portato per suo padre e lui, in cambio, le regala dei semi. L’autobus di Totoro, però, è di un tipo molto particolare: è un nekobus, ovvero un “gattobus”, dotato di sei paia di zampe per muoversi a grande velocità e invisibile alla maggior parte delle persone. Totoro sale sul nekobus e di lì a poco, con grande sollievo di Satsuki, arriva anche il padre delle bambine.
Le due sorelle pianteranno i semi davanti a casa, ma questi cominceranno a germogliare solo quando Tororo gli “infonderà la vita”. O perlomeno, questo è quello che vediamo accadere nel corso di una notte, prima che le bambine si ritrovino a volteggiare per lungo tempo nel cielo aggrappate al grande petto di Totoro: ma se questo sia successo davvero, oppure sia stato solo un bel sogno, è qualcosa su cui neanche Satsuki e Mei riescono a mettersi d'accordo.
CONTINUA
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