L’anno della grande nevicata, credetemi, è a tutti gli effetti un’eccezione. Lo è innanzitutto per il nostro sito, dal momento che non recensiamo libri autoprodotti; se, tuttavia, in questo freddo dicembre 2012 è apparsa la prima recensione di self-publishing addirittura su una testata prestigiosa come il New York Times, be’, allora vi chiediamo di concederci quest’unica violazione alla nostra linea editoriale, ché abbiamo tutti i motivi per proporvi questo romanzo. In secondo luogo, rappresenta un’eccezione per la sottoscritta, che si è ritrovata a leggere per la primissima volta con gusto, stupore e piacere un romanzo non scelto sua sponte. Infine, L’anno della grande nevicata è un’eccezione perché sfugge volontariamente a una classificazione precisa e si colloca nel solco della letteratura sperimentale, atta a destrutturare, frammentare e ricomporre, in una parola “giocare” con la forma romanzo.
Il suddetto “gioco”, se così vogliamo chiamarlo, è interamente condotto da un narratore onnisciente, che non si limita a presentarci dei personaggi e a narrarci una storia, ma interviene in continuazione, proponendoci i suoi punti di vista, le sue deduzioni ed elucubrazioni mentali; in altre parole, se a pagina cinque, in riferimento a un personaggio cui si è appena accennato, è proprio il narratore a dirci «quanto al fatto che quest’uomo sia il nostro protagonista, possiamo già confermarlo», non possiamo negare che coprotagonista del romanzo sia lo stesso narratore, impegnato a proporsi costantemente quale interprete delle vicende in cui vedremo muoversi il vero protagonista e a creare una complicità forte col lettore, suo interlocutore privilegiato. Ad ogni modo, i suoi assidui interventi non solo non sono stucchevoli di per sé, come si potrebbe credere, perché sempre coerenti con lo sviluppo narrativo, ma sono anche oltremodo piacevoli, essendo marcati da una raffinata ironia che arriva al parossismo del sarcasmo e dello sfottò.
Queste precisazioni sono doverose, perché riassumere in una recensione le vicende di Stefano Papini (nome che può essere casuale, ma che le numerose citazioni artistiche e letterarie contenute nel testo ci inducono a considerare quale tacito riferimento al noto letterato) senza inquadrarle nell’ottica narrativa adottata dall’autore rischierebbe di farle apparire banali. Tali, invece, non sono: bastano pochi ingredienti per fare di questo romanzo un ottimo piatto agrodolce, con sapori e sfumature diversi fra loro e talvolta contrastanti, ma di certo niente affatto insipidi.
A scuotere la grigia routine dell’impiegato Stefano Papini interviene una vecchia compagna di liceo, che porta con sé un’irresistibile aura di mistero; “quasi brutta”, Simona non è la classica famme fatale, né il tipo che farebbe perdere la testa al protagonista, eppure riesce in breve a farlo capitolare: l’ambiguità della donna, poi, lo indurrà a vestire goffamente i panni del detective alla ricerca di informazioni sul suo conto, costringendolo a ipotesi e ragionamenti ai limiti della razionalità.
Gianni Lorenzi scrive un’opera impeccabile sotto tutti i punti di vista: linguistico, data la varietà lessicale e la perfezione grammaticale; narrativo, per via dell’intreccio di diversi piani del racconto; stilistico, per le ragioni sopra esposte; tematico, ché si tratta di un’amara riflessione sull’esistenza; del genere, essendo L’anno della grande nevicata uno pseudo giallo («pur essendo grati al protagonista per il suo impegno, purtroppo siamo ancora lontani dal poter ritenere a ragion veduta che si stia percorrendo le vie stimolanti e redditizie del romanzo giallo») che scivola costantemente in altre classi letterarie, compresa quella postmoderna e del metaromanzo, sottraendosi a una vera classificazione.
Un’esperienza di lettura consigliatissima a chiunque voglia confrontarsi con un piccolo gioiello, innovativo sotto numerosi punti di vista ed estraneo alle dinamiche preconfezionate dei romanzi di genere.
Angela Liuzzi
Gianni Lorenzi, L’anno della grande nevicata, Il mio libro, 2012, 15 euro