Sarebbe dovuto essere l’anno del riscatto per la sinistra italiana, questo 2013, nato sotto la stella dell’appassionante duello delle primarie, con un effetto trainante sui sondaggi. La vittoria netta di Bersani, con la sua idea politica, magari un po’ vintage, ma che comunque mostrava un’apertura alla più ampia partecipazione possibile, in molti aveva nutrito la speranza che questa fosse la volta buona per compiere quella rivoluzione discreta di cui da troppo tempo necessita il paese; una rivoluzione in grado di mettere a regime la cooperazione tra i Know-how e di ripartire dalla centralità del lavoro, di favorire il confronto democratico tra i cittadini e la riappropriazione di un orgoglio identitario basato sul patrimonio artistico, culturale e paesaggistico; una rivoluzione capace di rimettere il paese sui binari della tradizione, ma senza ripiegamenti nostalgici; una rivoluzione in grado di riportare la politica nell’orbita della rappresentanza, dopo un trentennio di egemonia tirannica della rappresentazione. Per la verità, già in campagna elettorale aleggiava lo spettro della brutta sorpresa, ma nonostante la ripresa del caimano, l’irresistibile ascesa del signor G e l’eterna faida con la sinistra a trazione integrale, i numeri rimanevano buoni, anche se l’aria che si respirava non era per niente inebriante.
Si sa come è andata a finire: il flop elettorale ha innescato una serie impressionante di autogol che ha portato a un governo Frankenstein, avente l’unico merito di far rialzare la testa in termini di credibilità internazionale, senza minimamente ottenere alcunchè per quanto riguarda i problemi del paese reale e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. L’insediamento di Renzi sta avendo il merito di dare una scossa elettrica al comatoso governo Letta, ma non ci si può di certo aspettare che possa essere il sindaco di Firenze a riprendere il sentiero interrotto. Il Partito Democratico si deve far carico di riorganizzare una sinistra interna, capace di portare avanti una dialettica in grado di confrontarsi da pari a pari con Renzi ed essere punto di riferimento per la frammentata sinistra nazionale. Per far questo è necessario che esponenti come i candidati alla segreteria Civati e Cuperlo, insieme all’altro emergente Fabrizio Barca,che finora ha preferito saggiare il terreno rimanendo dietro le quinte, elaborino una strategia comune in grado di arginare le possibili derive renziane e di contrapporre una candidatura unitaria alla linea maggioritaria renziana, al momento delle primarie per la premiership.