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L’Antartide di Mirabella

Creato il 25 ottobre 2011 da Casarrubea
L’Antartide di Mirabella

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E’ stato presentato, domenica scorsa, alla sala dei giochi francesi di Villa Igiea, a Palermo, il libro illustrato di Antonio Mirabella Antartide: un continente in equilibrio precario nel diario di un naturalista.

Pubblicato dal Gruppo Editoriale Kalós in una grafica molto ben curata, il libro si presenta subito, per la sua veste innovativa, come una grande opera di divulgazione. Con alcune centinaia di illustrazioni e uno stile semplice e discorsivo. Adatto a un vasto pubblico.

Per l’occasione sono arrivati il console del Cile a Palermo Vincenzo Chiriaco, il prof. Edoardo Tosti Croce dell’Università del Cile e Puccio Corona, giornalista della Rai. A me è toccato il compito di presentare il volume sotto il profilo storico. E l’ho fatto volentieri, a modo mio.

Si tratta di un’opera singolare. Per svariati motivi. Non ci troviamo, infatti, di fronte a una semplice informazione, come quella veicolata, ad esempio attraverso i canali televisivi, da Piero Angela, ma a un’esperienza sul campo che ha a che fare con l’autore. Una fatica che si lega saldamente alla sua biografia e alla storia del suo divenire scienziato e ricercatore. Interessato non alla storia delle esplorazioni geografiche, ma a capire se stesso e il mondo. Il che è già un dato non secondario.

L’Antartide di Mirabella

Mirabella mentre esamina un frammento di roccia

Tanto per cominciare Mirabella è restio a concepire il suo mestiere come lontano dalla gente, né tanto meno ritiene che la conoscenza debba essere un beneficio a vantaggio di pochi privilegiati. E’ un fatto democratico al tempo stesso in cui è travaglio personale e processo di socializzazione. Con un elemento saliente: l’osservazione assunta a fondamento dell’intero percorso della scoperta. Dalla Sicilia al popolo dei Mapuche, in Cile, e oltre lo stretto di Magellano, fino agli estremi confini del mondo. Un passaggio dall’Etna in eruzione al continente bianco, dove le temperature toccano i -50°.

L’Antartide di Mirabella

ghiacci_deriva (Ciattaglia)

Con Mirabella ci troviamo di fronte a un antiaccademismo di fatto che, dovendo scegliere tra cattedre ed esperienza, sceglie quest’ultima. Il suo è perciò un apprendimento attraverso un personale sentire, un’inesplicabile condivisione di sé con la Natura. Anzi con Madre Natura, come preferisce chiamarla, forse per sottolineare la sacralità e la forza del suo potere invincibile e misterioso.

Suoi maestri sono uomini come John Tuzo Wilson e Charles Darwin e non certo Aristotele e Tolomeo. Di questi due ultimi, il primo ricavava, per analogia, un ipotetico Antartide dall’esistenza di un polo freddo al Nord, il secondo riteneva che ci fossero, sotto il ventesimo parallelo dell’altro emisfero terre abitate, chissà per quali motivi, da gente ricca. Mirabella è ben lontano da visioni filosofiche di qualsiasi natura. Sperimenta direttamente e ci riferisce un racconto inedito che si richiama alle origini della Terra. Quando la Pangea
cominciò a frammentarsi dando origine alla deriva dei continenti.

Ciò che c’è di straordinario nella sua esperienza è l’attualizzazione della storia. L’evoluzione del mondo e le sue tendenze future sono colte attraverso la fatica dell’osservazione. Hic et nunc. Come quando nel terribile stretto di Drake, con temperature al di sotto dello zero di diverse decine di gradi, e con le mani gelate, esce nel pieno di una tempesta sul ponte della nave rompighiaccio cilena Almirante Oscar Viel, per
fotografare l’uccello più grande del mondo.

Scrive: “Siamo nel cuore del Passaggio di Drake. Qualche ora dopo, dalla mia cabina, intravedo un grande uccello dal piumaggio irregolare, è un esemplare solitario. Esco nuovamente sul ponte per cercare di osservarlo meglio e immortalarlo con la mia macchina fotografica. Ha un’apertura alare di almeno tre metri. Passa più volte sopra la prua della nave e ci sta chiaramente osservando. E’ l’albatro urlatore, l’uccello più grande del mondo. Rimango a lungo fuori, colpito dalla sua maestria nel volteggiare tra le antenne del rampighiaccio. Ricordo di avere visto, in Patagonia, il condor, maestoso uccello che si loancia nel vuoto per prendere quota mantenendola con un volo lento ed elegante, ma qui la grandiosità di questo volatile marino supera abbondantemente quella dell’uccello andino, in abilità di manovre e capacità di contrastare i venti gelidi marini”.

Nel libro l’Antartide è definito in vario modo: continente bianco, settimo continente, quintessenza del luogo selvaggio, realtà dal volto bianco e misterioso, continente consacrato alla scienza e alla pace, il luogo più eccelso della Terra, luogo dove si addomestica l’abisso della solitudine, paradiso terrestre dell’umanità, il continente più arido del mondo.

Presenta caratteri molto diversi dal Polo Nord. Mentre questo è il centro di un ammasso di ghiaccio circondato da continenti, il Polo Sud è il centro di un continente circondato da un immenso oceano. Ha una sua consistenza rocciosa e le sue coste sono interessate da una grande molteplicità di correnti che lo circumnavigano e ne attraversano tutti i punti. Caratteristica che fa dei suoi mari, i più ricchi di fauna marina del mondo.

A un’osservazione attenta, qual è quella di Mirabella, non sfugge che un tempo l’Antartide, prima di strutturarsi come continente, fu una foresta di conifere. Fossili di felci e conifere popolano infatti l’epoca in cui la Pangea aveva cominciato a frammentarsi per dare origine agli attuali continenti. Oggi è una realtà geografica caratterizzata da assenza di alberi, arbusti e prati. E’ il regno dei muschi e dei licheni, di cui, ci spiega Mirabella, si contano circa duecento specie. Dormienti d’inverno e attivi nel semestre estivo.

Suscita una certa emozione constatare nel libro l’accostamento tra i fossili di alberi e di felci, con quella sorta di deserto nel quale lo scienziato coglie, adesso, i segni di un risveglio modulato dall’andamento stagionale della nostra flora, quella delle Madonie e del Mediterraneo. Ma che i licheni potessero dormire per me è una sorpresa del tutto nuova.

Nuovo non è però l’amore che Mirabella nutre per la natura. Il suo ottimismo intrinseco, il vedere i lati positivi delle cose.  Per questa ragione nelle sue riflessioni c’è poco spazio per il buco dell’ozono e molto più spazio per tutti i segnali di vita che gli si prospettano, laddove tutto sembra quiescente. Lo sapevo che questo scienziato nuovo è fatto così. Una decina d’anni fa lo incontrai, in una trazzera che porta alle Neviere di Portella della Ginestra, nei pressi del monte Pelavet. Cercava fiori ed io ero invece sulle tracce di un gruppo di criminali che, oltre cinquant’anni prima, avevano sparato contro una folla di donne e bambini che su quel pianoro, nel 1947, festeggiavano il primo maggio. Non pensavo che quel luogo di morte potesse essere così ricco di doni della natura. Ci presentammo e il giovanotto, che già aveva spiccato il dono dell’osservazione, mi spiegò che aveva catalogato su quei pendii ben settecentocinquanta specie di fiori. Rimasi sorpreso. Fu allora che capii, forse per la prima volta nella mia vita, che i risultati delle nostre azioni dipendono da come guardiamo il mondo, da come sappiamo osservare con occhi diversi. Perché possiamo guardare e non vedere e possiamo vedere se appena appena guardiamo le cose con uno sguardo nuovo. Così non mi stupisce che in Antartide, Antonio si abbassi a terra per parlare con due pinguini che lo guardano curiosi, senza paura.

L’Antartide di Mirabella

Passaggio di Drake: onda di prua (Ciattaglia)

La paura, appunto. Sono gli stessi uccelli di un continente apparentemente senza vita che ci dicono come superarla. Come accade nel Passaggio di Drake. “Qui – scrive Mirabella – gli uccelli vivono nel cuore dell’oceano e possono stanziarvi per uno o due anni prima di fare ritorno sulla terraferma. La loro casa è il mare”. Sono le procellarie del Capo. E continua: “Ero arrivato lì dalla Sicilia e qualche cosa di grande mi aveva condotto per mano nel continente Bianco. Un’opportunità che a volte sogni da bambino, a volte rivivi tra le pagine di un libro…”. E’ l’attrazione verso il “bianco della natura” ad alimentare in Mirabella un intimo desiderio di scoperta, la ricerca naturalistica, quella stessa passione che dal ‘700 in poi aveva spinto diversi scienziati ad avvicinarsi all’Antartide.

“Qui, continua Mirabella, si avverte che si va oltre ogni confine dello spazio e del tempo e si è al di fuori di qualsiasi logica umana. Ciò che hai lasciato alle spalle assume una veste banale e finisce per svanire davanti alla bellezza dei luoghi e di una natura maestosa e indomita. Le controversie e le delusioni qui si congelano come piccoli iceberg. Regna solo il silenzio interrotto dal sibilo del vento o dall’urlo della burrasca”.

Per questo motivo nel libro si nota un certo compiacimento di trovarsi in un luogo lontano e diverso da quell’isola convulsa qual è la Sicilia. Ora l’autore è in una dimensione diversa. E attraverso gli oblò del rompighiaccio è come “in preghiera” con Madre Natura. Anzi, assume quasi la forma del rosario il suo diario di bordo intercalato dalle osservazioni naturalistiche, ridotte all’osso: numero e tipi di uccelli avvistati, numero di delfini e balene, ecc. Fino alla “Messa delle balene”, quando il cappellano di bordo, durante la celebrazione, lascia intravedere dal grande oblò due balene che si incontrano sullo sfondo della nave, dandoci un quadro suggestivo di rara bellezza.

Giuseppe Casarrubea

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