Magazine Cultura
È difficile non scrivere un "coccodrillo" quando muore un uomo di cultura già anziano. Sanguineti però era un poeta, e, non è retorica, non credo che "intellettuale" e "poeta" siano sinonimi, soprattutto oggi.
Leggendo e rileggendo a casaccio versi sanguinettiani, questo pomeriggio, mi ha colpito il suo antilirismo. Perché questo antilirismo non significa solo amore per l'avanguardia, gusto anti-retorico, scarsa attrazione verso l'ermetismo ecc., ma soprattutto è una "dissacrazione religiosa" del reale.
Questa espressione non è un ossimoro, ma mi è nata in animo rileggendo Sanguineti. Non ci avevo mai pensato prima, ma la bellezza del leggere i poeti consiste anche nel sentire, ogni volta che li si legge, qualcosa di nuovo.
In Sanguineti gli "oggetti" sono veri, esistono, non correlano nulla. Non rimandano a nulla, se non a se stessi, al poeta che cerca: "e spegnevo la luce, e la riaccendevo, e ancora spegnevo,/ di nuovo; e dicevo, nel buio, ma immobile: ma non succede niente". Perché il poeta non "usa" un linguaggio canonico, esoterico, ma attraverso la sua lingua ri-crea l'universo, perché le parole non sono solo segni, bensì hanno carne e forse ossa.
E poi, più in là del Gruppo '63, quei versi così lunghi, quasi uno sfregio alla stringatezza ungarettiana... e quella volontà di non "mandarla a dire", ma di affrontare la realtà, il dibattito poetico, per non sottrarsi al dovere di dissacrare una verità enunciata come pura. Ma dissacra argomentando, non togliendo il saluto.
Rispondendo a Franco Fortini che difendeva l'oscurità del linguaggio poetico come passo necessario che chi scrive poesia deve compiere per diventare chiaro, Sanguineti scrive:
la poesia è ancora praticabile, probabilmente: io me
la pratico, lo vedi,
in ogni caso, praticamente così:
con questa poesia molto quotidiana (e molto
da quotidiano, proprio): e questa poesia molto
giornaliera (e molto giornalistica,
anche, se vuoi) è più chiara, poi, di quell'articolo di
Fortini che chiacchiera
della chiarezza degli articoli dei giornali, se hai
visto il "Corriere" dell'11,
lunedì, e che ha per titolo, appunto, "perché è
difficile scrivere chiaro" (e che
dice persino, ahimè, che la chiarezza è come la
verginità e la gioventù): (e che
bisogna perderle, pare, per trovarle): (e che io dico,
guarda, che è molto meglio
perderle che trovarle, in fondo):
perché io sogno di sprofondarmi a testa prima,
ormai, dentro un assoluto anonimato (oggi che ho
perduto tutto, o quasi): (e
questo significa, credo, nel profondo, che io sogno
assolutamente di morire,
questa volta lo sai):
oggi il mio stile è non avere stile.
(1977)
Non so perché ho riportato questi versi, ma oggi mi sono parsi i più significativi che ho letto di Sanguineti. L'ultimo verso, poi, non è retorico, né programmatico, né moralistico, ma è un richiamo a una purezza, alla schiettezza poetica. Magari alla sua elegante rozzezza. Forse merce rara...
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