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L’antro del mago: la misteriosa Cappella Sansevero

Creato il 01 marzo 2015 da Vesuviolive

L’alone di mistero che circonda la Cappella Sansevero non può che aumentare, una volta varcato l’ingresso alla Pietatella.

Dell’originario impianto Seicentesco, il restauro Settecentesco ha mantenuto inalterate le dimensioni perimetrali e quattro dei mausolei laterali. Oltre a ciò, dell’originale cappella seicentesca è rimasta solo la decorazione policroma dell’abside e quattro statue della famiglia Sansevero.

tonykospan21.wordpress.com

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L’interno, costituito da un’unica navata di forma rettangolare, è coloratissimo e fastoso per la ricca copertura marmorea policroma e per gli intricati affreschi di Mario Russo che paiono bucare la volta per aprire vorticosi panorami. Il pittore usò dei colori oloidrici, appositamente creati da Raimondo di Sangro sostituendo alla colla dei misteriosi ingredienti che si rivelarono valide alternative a quelli tradizionali. I colori mantengono intatta, ad oggi, la loro intensità; la potenza espressiva è ancora vivida negli intrecci di forme e gradazioni.

Il principe disegnò anche il pavimento labirintico della cappella Sansevero, intarsiato in marmo bianco e nero.

Pare che qui, guardandoci attorno, strani personaggi intrappolati cerchino di afferrare la nostra attenzione. Il marmo li tiene e li costringe in plastiche, immutabili pose. Ma sotto il guscio che li contiene sono vivi: i muscoli agili, le espressioni attente lo tradiscono. È la presenza di statue, più che di dipinti, un elemento particolarissimo della cappella Sansevero.

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L’unione tra arte e alchimia è palpabile: in ognuna di queste pose, elementi esoterici sono pregevolmente combinati alla maestria dell’esecutore.

Una magnifica triade di opere rende la Cappella Sansevero unica nel suo genere: morbidissimi, impalpabili panneggi velano e svelano significati aderendo a ogni dettaglio della figura umana.

Il Cristo velato ne è un affascinante esempio: realizzato da Giuseppe Sanmartino nel 1753, stupisce l’occhio e l’animo:la fermezza del marmo nulla toglie alla morbidezza delle carni, il velo sottile e morbido come il burro esalta i dettagli sottostanti.

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La Pudicizia, opera di Antonio Corradini che la realizzò nel 1752, è dedicata alla madre di Raimondo di Sangro. La prematura scomparsa è rappresentata, nell’opera, dalla presenza dell’albero della vita e della lapide, ma c’è molto di più. Il velo allude alla sapienza nascosta, la quercia e la cintura di rose richiamano lo stesso significato esoterico. E tuttavia, gli stessi simboli hanno  valenza cristiana. Ancora il dualismo, ancora il mistero a dominare nell’atmosfera peculiare della cappella Sansevero. Il saluto alla tanto amata madre è reso patetico dalla interposizione di un velo, quello della morte, che tutto occulta lasciando trasparire solo il ricordo.

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Ma l’opera più amata dai visitatori è senza dubbio Il Disinganno, capolavoro che Francesco Queirolo realizzò tra il 1753 ed il 1754. L’opera è pensata per redimere l’immagine del padre del principe Raimondo. Egli si libera di una pesante rete, quella del negativo giudizio altrui, aiutato nell’impresa da un putto. Stupisce, ancora una volta, l’ impressionante morbidezza della rete che avvolge il soggetto.

Le ultime due opere appartengono alle Virtù: addossate a pilastri, raffigurano un cammino spirituale verso la conoscenza e il miglioramento di sè. A condurre l’uomo in questo cammino spirituale, il pavimento labirintico rappresenta le difficoltà quotidiane.

È un percorso, quello nella cappella Sansevero, sicuramente al di fuori del comune: l’anima si sente qui libera di vagare, di esplorare un mondo in cui ogni cosa pare sussurrata con sospetto, in un limbo tra detto e taciuto, e l’occhio indaga guizzando ovunque fino a trovare, sfinito e sospettoso, la strada per l’uscita. L’ultimo sguardo al portale ci lascia la domanda: di cosa è testimonianza, esattamente, la cappella Sansevero?


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