L’antropologo Facchini: «biologia dimostra finalismo e teleologia evolutiva»

Creato il 09 aprile 2011 da Uccronline

E’ inevitabile che l’interesse verso la scienza, ai limiti dell’idolatria, sia spronato dal voler appagare gli interrogativi che sorgono sul senso della esistenza. Alla faccia di chi vuole illudersi aver risolto il problema una volta per tutte. Fiorenzo Facchini, sacerdote e ordinario di Antropologia presso l’Università di Bologna, docente di Paleontologia Umana nella Scuola di specializzazione in Archeologia, membro di varie Società scientifiche italiane e internazionali, tra cui l’Istituto Italiano di Antropologia, l’Accademia delle Scienze di Bologna e la New York Academy of Sciences. Si è soffermato ancora una volta sul dibattuto argomento dell’evoluzione, tra i più usati per estrapolazioni filosofiche ed esistenzialiste, interessandosi in particolare sull’innegabile direzione presente nella crescita della complessità. Lo aveva già fatto recentemente, come segnalato in Ultimissima 28/3/11 e lo ha ribadito in questi giorni sul quotidiano Avvenire.

Dice: «Nella crescita della complessità è fuori discussione che vi siano delle direzioni [...]. Tuttavia la pura casualità degli eventi non può spiegare la crescita della complessità». Infatti, alla base dei processi evolutivi, ci sono leggi e regole d’ordine, come viene sempre più messo in evidenza dagli studi della biologia dello sviluppo. Facchini avverte che «il problema è complesso e dovrebbero evitarsi certe semplificazioni in cui cadono molti darwinisti riferendo tutta l’evoluzione a un modello evolutivo che ben si adatta alla genetica di popolazioni (microevoluzione)». La casualità esiste certamente, anche se non è un Legge evolutiva. Inoltre, a volte ci sono eventi che «consideriamo casuali perché non ne conosciamo le cause o non sono prevedibili con i mezzi a disposizione (come le mutazioni geniche)». Questa casualità però può acquisire un significato: «la conformazione spaziale delle molecole che consentono la vita, le strutture ordinate o programmate, il rapporto tra struttura e funzione, presuppongono un principio finalistico o teleologico che nessuno può contestare». Monod e Jacob parlano di teleonomia per evitare possibili riferimenti a un finalismo della natura, Ayala ammette una teleologia interna, escludendo una intenzionalità esterna. Non usa mezzi termini l’antropologo: «Se vi sono leggi è da ammettersi una intenzionalità esterna riconducibile al Creatore. Il naturalismo riduzionista lo esclude, ma non con delle prove scientifiche».

D’altraparte, ricorda Facchini, è la stessa opinione di molti celebri filosofi e scienziati: Einstein, Flew, Davies, Barrow, Lennox, Collins, eccetera, i quali non esitano a riferire la realtà a una mente superiore. Così, «la natura dimostra una razionalità intrinseca e potenzialità di cambiamento in relazione anche all’ambiente. L’insieme che ne risulta finisce per acquistare un senso aprendo a una visione finalistica». E’ certo un’interpretazione filosofica, ma emerge inevitabilmente se guardiamo all’uomo: la sua direzione evolutiva è tutta peculiare ed è segnata da una crescita di cerebralizzazione che non ha confronti con le altre specie (cfr. Teilhard de Chardin, Jean Piveteau, Dobzhansky ecc…). Ad essa si congiunge il comportamento segnato dalla cultura, che denota intelligenza astrattiva e autodeterminazione e fa dell’uomo l’unico essere che ha coscienza di sé e delle cose. Conclude Facchini: «in una visione teologica che riconosce alla creazione un’autonomia nelle cause seconde, si può cogliere a posteriori un finalismo generale che si realizza secondo un progetto superiore, inclusivo della casualità. Resta la peculiarità dell’evento uomo in cui le causalità di ordine naturale vengono arricchite da Dio della dimensione spirituale con modalità non descrivibili dalle scienze naturali».


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