Durante la guerra del Vietnam, il capitano Benjamin Willard
(Martin Sheene) riceve dai servizi segreti americani l’incarico di trovare e
uccidere il colonnello Kurtz (Marlon Brando), colpevole di avere tradito
l’esercito e di essersi unito alla popolazione locale, diventando per essa una
sorta di semidio. Gli Stati Uniti vedono in lui un pericoloso estremista, e sono
preoccupati soprattutto delle eventuali ripercussioni che potrebbero avere a
livello di immagine. Per una volta, quindi, il nemico da abbattere è interno: si tratta di una cellula
cresciuta e sviluppata nel corpo stesso che l’ha nutrita. Willard accetta il
compito che gli viene affidato, perché di fatto non ha scelta. Kurtz
rappresenta infatti quella parte di se stesso contaminata dalla guerra; Kurtz è l’incarnazione della sua malattia, della malattia di ogni
combattente.
Comincia dunque un viaggio che non è soltanto materiale. Attraverso
il taglio particolare delle inquadrature, l’uso esasperato della nebbia, i
giochi di luce e la presenza di colori innaturali, Coppola induce nello
spettatore la sensazione che si tratti invece anche di un viaggio mentale: una discesa negli inferi della
propria coscienza, su su oltre il fiume della ragione, nella giungla fitta e
buia della mente umana. L’impressione è confermata anche dal fatto che, man
mano che ci inoltriamo nel regno di Kurtz, ci sembra di percorrere il tempo a
ritroso, e tornare indietro di milioni di anni. L’uomo civilizzato laggiù non
esiste: lì troviamo l’uomo prima del
progresso, nello stadio più vicino alla natura. Riti tribali, usanze arcaiche,
modi di vita primitivi. La stessa morte di Kurtz avverrà durante una cerimonia
sacrificale, e ne assumerà tutto il valore rituale. Il colonnello, infatti, sa
che è giunta la sua ora. Quando Willard, dopo averlo trovato, gli spiega le sue
intenzioni, non ha nulla da rispondergli. La sua colpa è stata semplicemente
quella di avere spinto alle sue logiche ed estreme conseguenze una politica che
ha già in sé la sua malattia: un
imperialismo planetario mascherato con intenti umanitari e trovate
propagandistiche. “Addestriamo dei ragazzi a sganciare Napalm sulla gente, ma i
loro comandanti non vogliono che scrivano ‘cazzo’ sugli aerei, perché è una
parola oscena”.
La scena della morte di Kurtz è tra le più belle e suggestive
dell’intera pellicola. Willard lo raggiungerà nel suo tempio una sera, di
nascosto, armato di machete, mentre fuori il popolo è intento a celebrare il
sacrificio di un bue. Percorre un corridoio profondo, illuminato dalla luce
innaturale di un braciere. La musica in sottofondo è la parte finale, in crescendo,
del pezzo più noto ed oscuro dei Doors: “The end”. Il momento cruciale si
avvicina. Kurtz è seduto, girato di spalle; una figura colossale, indefinibile,
continuamente emergente dal’ombra; sembra quasi privo di contorni precisi. È
impegnato nella registrazione di un nastro, al quale affida i suoi pensieri
sulla guerra. Quando si accorge della presenza
del suo assassino, questi ha già sollevato il machete. A questo punto,
uno stacco improvviso ci porta di nuovo all’esterno, dove gli indigeni, con un
identico gesto, calano i loro fendenti sul bue, che si accascia sanguinante.
Un altro stacco, e ci troviamo nuovamente all’interno del tempio, dove è Kurtz
ad essere colpito a morte. È questo un esempio di ‘montaggio analogico’,
inventato dal grande regista russo Sergej Eisenstein, amatissimo da Coppola.
Secondo questa tecnica, durante la fase di montaggio vengono accostante alcune
immagini apparentemente incongrue, ma che in realtà rivelano a uno sguardo più
attento una qualche affinità illuminante. Si tratta, quindi, di una vera e
propria metafora cinematografica. La
morte di Kurtz, in questo modo, ci appare come la fine del 'capro espiatorio'.
Prima di morire, il colonnello pronuncerà le
fatidiche parole: “L’orrore! L’orrore!”. Com’è noto, il film è liberamente
ispirato a un romanzo di Conrad, 'Cuore di
tenebra'. Il libro è ambientato nell’Africa di fine Ottocento, sottoposta
alle razzie coloniali del vecchio continente. Da lì al Vietnam, tuttavia, il
salto è stato breve. Esiste infatti un identico seme, da cui nascono violenza e
sopraffazione. Questo seme è insito nella mente dell’uomo e, certamente, nella
sua natura. A questo seme hanno attinto da sempre i conquistatori di ogni
tempo; una volta era l’Europa, ora gli Stati Uniti. Il suo nome non è
conosciuto. Chi l’ha visto, però, chi ha scavato fino in fondo, come il Kurtz
di Coppola o di Conrad, l’ha chiamato, appunto, "orrore".