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L’apparenza…

Creato il 04 dicembre 2011 da Illcox @illcox

L’apparenza…

Due del mattino di un mercoledì. Dopo una serata con gli amici al Bitter End, uno dei migliori locali nel West Village, dove gente come Jimmy Hendrix e Bob Dylan veniva a fare jam session, vado a prendere la metroplitana alla fermata West 4th. Entro nelle viscere della terra.

Come al solito ho un sonno della madonna. Poca gente, stranamente. Una coppietta abbracciata, un paio di messicani appisolati che hanno probabilmente appena finito di lavorare, il solito artista di strada che strimpella alla chitarra a cui lascio un dollaro nel cappello che ha davanti a se. Non mi piace fare elemosina ai barboni, ma chi si prodiga per raccimolare qualche centesimo offrendo una performance, quale essa sia, indipendentemente dal fatto che mi piaccia o meno, riscuote sempre la mia simpatia e I miei soldi. Arrivo alla fine della piattaforma dove c’è un ragazzo sulla ventina con una maglietta blu degli Yankees che ascolta musica a tutto spiano. Indossa le cuffie, ma le “melodie” le riesco a sentire ugualmente. Un po’ più giù, seduta all’ultima panchina disponibile, siede una signora sulla settantina, molto distinta ed elegante, con un paio di grossi bagagli al suo fianco. Ecco, ho trovato il mio posto ideale per aspettare; abbastanza lontano dal ragazzo con la musica a manetta e vicino l’innocua signora che sembra starsene sulle sue. Posso finalmente rilassarmi. Vana illusione.
Appena mi siedo la signora si gira verso di me e mi dice “Che bella serata! Sembra quasi estate. Finalmente! Dopo tutto il freddo che abbiamo dovuto patire, il buon dio si è ricordato che siamo in primavera”. Annuisco.“Eccolo!” escalmo fra me e me, “lo sapevo che dovevo trovare quella che mi attacca la pezza. Sii furbo. Rispondi si e no, non fare domande che forse si stanca”.
Col cazzo! La signora è lanciata e continua “Oggi ho passato proprio una giornata stupenda. Sono andata prima a vedere un Broadway Show…In The heights. L’hai visto? Molto divertente, anche se la musica non mi ha impressionato più di tanto”. L’ho visto, ma rispondo di no; non vorrei impelagarmi in una discussione su quanto la nuova Broadway sia diversa da quella di una volta. Resto aggrappato al mio copione. Si o no e al massimo cenni col capo. Devo assolutamente evitare la pezza. Ho sonno e vorrei chiudere gli occhi ma lei imperterrita insiste. “Poi sono andata a mangiare in un bellissimo ristorantino italiano sulla 46sima strada. Balducci’s. Si mangiava da dio. Avevano un tiramisù eccezionale! Non ho resistito e ne ho preso due porzioni”. Continuo ad annuire ma nel frattempo comincio a farmi qualche domanda tipo: che cazzo ci fa una signora di settant’anni, così elegantemente vestita, con due bagagli alla fermata della Metropolitana? Mi ha appena detto che è andata a vedere un musical e a mangiare al ristorante. Perchè non ha prerso un taxi per tornare a casa? E soprattutto, perchè ha queste due enormi valigie? Mentre lei continua ad elencarmi ciò che ha mangiato, comincio ad osservarla meglio. Ormai sono incuriosito. La pezza è stata a mio malincuore attaccata. Ciò che di lei mi colpisce maggiormente sono le scarpe laccate a tacco basso, color rosso fuoco. Le noterebbe anche un cieco.
Ha anche una borsetta dello stesso colore. Nonostante l’età si vede che da giovane deve essere stata una bella donna. Ha dei lineamenti molto delicati, I capelli ramati raccolti all’insù e degli occhi cangianti, fra il grigio e il verde. Al polso sinistro indossa un braccialetto di cuoio rosso. Nel frattempo lei continua “Ci voleva proprio una giornata così…” Fa una lunga pausa mentre attentamente mi scruta, e poi riprende. “Probabilmente rimarrai sbalordito da ciò che sto per dirti, ma hai una faccia che mi ispira fiducia. Sembri un bravo ragazzo e ti voglio fare una confidenda.” Altra lunga pausa e un’altra “radiografia”. Io nel frattempo inizio a preoccuparmi “Non è che questa si è fatta strane idee? No! forse è un uomo…Oppure è solo matta”. Mentre nel mio cervello continuano a rincorresi le ipotesi lei mi dice con voce sommessa “Da stasera sono ufficilamente una barbona” Rimango di stucco. Vorrei dire qualcosa, ma che cazzo dire? “Mi dispiace…non l’avrei mai pensato” sbiascico mentre comincio a sentirmi una merda per averla snobbata, pensando fosse la classica signora benestante di New York che vuole raccontarti la sua vita fatta di spettacoli e ristoranti alla moda. “Come ti chiami?” mi chiede. “Massimo…piacere” rispondo. “Il piacere è mio. Mi chiamo Lidia. Lidia Clack. Stamattina mi hanno cacciata dal mio appartamento. Ho vissuto li per quasi quarant’anni con mio marito. Poi, cinque anni fa, Anthony è morto dopo aver lottato contro un tumore al fegato per quasi sei anni. Abbiamo speso tutti i nostri risparmi per cercare curarlo. Ma non è servito a niente. Ora sono rimasta sola. E, come se non bastasse, subito dopo la sua morte, il palazzo dove vivevamo è stato acquistato da un privato che ha quadruplicato l’affitto” “Che culo!” dico fra me e me. Lidia continua. “Ho cercato di rimanere a galla facendo lavoretti di fortuna, ma senza più un dollaro e senza una pensione non ho potuto più farcela. Stamattina mi hanno buttato su una strada. Non ho figli e per stare dietro a mio marito ho messo da parte anche I pochi amici che mi erano rimasti. Massimo, l’apparenza può ingannare” Verissimo. Nel frattempo continuo a sentirmi sempre più una merda. La interrompo “Hai provato a chiedere aiuto a delle associazioni di volontariato o a rivolgerti al comune? Oppure a qualche organizzazione no profit…”
“Caro Massimo, sai quanto ce ne sono nella mia situazione? E quanti stanno addirittura peggio di me? Ho provato, ma invano. Non è facile ottenere l’aiuto di cui hai bisogno in questi momenti. Poi, con la crisi che c’è, la prima cosa che tagliano sono gli aiuti alle persone indigenti. Quindi…” Mente parla, Lidia continua a giocherellare con il braccialetto di cuoio rosso che indossa. Poi smette, mi fissa e mi dice
“Probabilmente ti starai chiedendo come mai, visto che sono senza casa e senza lavoro, ho speso gli ultimi miei risparmi a teatro e al risorante. Vedi, mi erano rimasti $125. Dope essermi fatta due conti mi sono resa conto che tirandoli al massimo, li avrei potuti far durare un paio di settimane. Poi avrei dovuto comunque andare a vivere per strada e cominciare ad elemosinare. Quindi mi sono detta: Lidia, vestiti di tutto punto, prendi questi dollari e fatti un’ultima serata mondana. Quando poi starai “vivendo” in qualche sottoscala o in qualche casa d’accoglienza, elemosinado e magiando quello che capita, almeno ti ricorderai di questa serata. Dicamo che ho voluto fare una “chiusura” in bellezza.”
“Hai fatto bene Lidia. Una signora elegante, distinta e bella come te merita una serata del genere”
le dico per cercare di farla sentire apprezzata. Lei sorride lusingata e mi risponde “Se ti avessi conosciuto qualche anno fa…” “Non avrei potuto resisterti! Con quegli occhi mi avresti rapito”, ribatto.
Lei scoppia in una fragorosa risata. Per un momento la tristezza che aveva negli occhi sompare. Poi torna seria e mi dice. “Prendi questo braccialetto. L’ho fatto con le mie mani. Mi piacerebbe se lo indossassi ogni tanto. Io non me ne faccio niente e a te donerebbe.” Già! Non ha più niente e mi metto ad accettare il braccialetto? “No, non posso…Grazie comunque. Tienilo tu, lo potresti rivendere”.
“No, insisto. Voglio che sia tu ad indossarlo. Sei la prima persona con cui parlo al quale abbia rivelato di essere ufficialmete una barbona. Sei un ragazzo dolce. Tienilo, ti prego”
“Ok-le rispondo- grazie. E’molto bello. Lo indosserò sempre, mi porterà fortuna e soprattutto sarà un modo per ricordarmi sempre dei tuoi occhi felini.” Lidia sbotta in un’altra risata, e mi da una pacca sulla spalla come a dire “dai, non fare lo stupido” ma si vede che è lusingata dai miei complimenti.
Il treno sta per arrivare, si sente in lontanaza. Istintivamente mi giro in direzione del binario.
“Sta arrivando il tuo treno, vero?” Esclama Lidia.
“Si, è proprio la A” ribatto. Lidia mi vede titubante. Si è resa conto che non la vorrei lasciare sola, che le vorrei fare compagnia ancora un po’ e mi dice
“Vai Massimo, vai! Non ti preoccupare. Me la caverò. Grazie per queste due chiacchiere. E se dio vuole ci rincontreremo”. Nel frattempo la subway è arrivata. Le porte si aprono. Mi frugo nella tasca.
Trovo gli ultimi $20 che mi sono rimasti e li allungo verso di lei. Lidia mi guarda e dice
“No! non posso accettare, da oggi sono una barbona ma comincerò ad elemosinare da domani.” Nonostante tutto aveva ancora quell’orgoglio che la spingeva a rifutare la mia offerta. Ancora non si era abituata all’idea che quello sarebbe stato il suo futuro. Elemosinare per vivere. Le metto ugualmente i soldi nella mano chiudendogliela. Poi la bacio in fronte e la saluto. “Ciao Lidia…” è tutto quello che le riesco a dire e salto sulla carrozza. Le porte si richiudono. Il treno parte perdendosi nel tunnel. Ci seguiammo con lo sguardo finchè possibile. L’ultima immagine che mi resta di lei è la sua mano tesa sulla quale aveva posato un bacio.
Mi siedo e a pochi sedili di distanza c’è un barbone “ufficiale”. Non uno alla Lidia. Diciamo uno in carriera. Aveva tutti i segni di distinzione. Vestiti sdruciti, scarpe rotte, un sacco nero della spazzatura pieno di cianfrusaglie e l’ immancabile “odorino”. Diciamo un “barbone professionista”.
Mi allontano andandomi a sedere dalla parte opposta del vagone. Lidia è ancora nella mia mente. Fra qualche settimana, probabilmente, anche lei starà conducendo questo tipo di vita. Forse, se la rincontrerò, non la riconoscerò nemmeno. Che differenza fra un barbone “esordiente” e un barbone “professionista”. Chissà quante persone incontriamo nel corso della nostra vita che sono al primo giorno da barbone e non ce ne rendiamo conto. Come mi ha detto Lidia, l’apparenza inganna. Daltronde, non è che uno diventa barbone e si appende un cartello che recita “Primo giorno da senzatetto!”. Come possono essere facilmente influenzati i giudizi dall’immagine che proiettiamo. Perso fra I miei pensieri e la storia di Lidia, mi scende una trisrtezza profonda. Anche io potrei trovarmi in quella situazione un giorno. Cosa farei? A chi mi andrei a rivolgere? Mentre mi ponevo queste domande esclamo ad altavoce “Che testa di cazzo. Ho lasciato Lidia con $20 e basta. Potevo darle il mio numero in caso d’emergenza? Che coglione” Non è che ci possiamo mettere ad aiutare ognuno in difficoltà altrimenti faremmo i missionari. Ma almeno una persona la si può aiutare e simbolicamente e’ come se uno stesse aiutando tutti quelli che versano nella stessa situazione. Lidia era per me quella persona.
Devo tornare indietro. Devo rivederla, darle il mio contatto e cercare di aiutarla. Alla fermata successiva, la 59th Street, esco dal treno e mi metto ad aspettare quello in direzione downtown sul binario opposto. Sono le 3 del mattino. Nell’attesa passeggio nervosamente sopra e sotto la piattaforma giochicchiando con il braccialetto che mi aveva regalato Lidia. Ad un certo punto sento una forte botta alla spalla che mi fa quasi cadere. Dalla mano mi vola il braccialetto che va a finere sui binari del treno.
Mi giro e vedo che ad avermi urtato era un ragazzo che si stava rialzando da terra.
Si gira, mi fissa un secondo e scappa via. Rimango frastornato. Poi lo riconosco, era il ragazzo con la maglietta degli Yankees che stava ascoltando la musica a tutto volume alla stazione di West 4th seduto vicino me e Lidia. Faccio per inseguirlo, ma mi fermo subito. Era già su per le scale. Imprendibile.
Guardo giù e vedo il braccialetto sul letto dei binari. Perso, irragiungibile. Scendere sarebbe troppo rischioso. Butto una bestemmia che fa tramare le mura della stazione. Dopo 30 secondi passa il treno. Salgo sulla carrozza direzione West 4th, con la speranza che Lidia sia ancora li. Non le avrei mai detto che avevo perso il braccialetto. Ci sarebbe rimasta troppo male. Sono incazzatissimo, ma non vedevo l’ora di arrivare alla fermata e rivederla. Le stazioni si susseguono veloci. Finalmente arrivo a destinazione.Scendo dalla parte opposta della piattaforma dove l’avevo lasciata. In lontananza vedo un capannelo di persone fra cui molti poliziotti e curioso mi avvio verso quella direzione. Mentre mi avvicino scorgo anche delle persone che sembrano essere dei paramedici. Arrivato a ridosso del circolo formato dagli agenti mi sporgo. Per terra una barella coperta da un telo bianco dal quale spuntano due scarpe color rosso fuoco a tacco basso. Lidia. Il gelo mi piomba addosso. Afferro il primo poliziotto che ho di fianco e gli chiedo cosa è successo. Lui come se fosse la cosa più normale del mondo mi dice
“E’ una signora. E’morta in seguito ad un arresto cardiaco. Dei testimoni ci hanno detto che è stramazzata al suolo dopo che un ragazzo con una maglietta degli Yankees le ha rubato la borsa per poi saltare sul primo treno disponibile e scomparire nel nulla. Succede ogni giorno a new York. Ora vai via!” Quel figlio di puttana l’aveva scambiata per una donna abbiente senza sapere che in quella borsa non c’era assolutamente nulla se non tanti ricordi. Lidia purtroppo aveva ragione. L’apparenza inganna.


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