L’Aquila era di una bellezza sconvolgente, unica. L’Aquila “piombata” dal terremoto e nel silenzio è vuota di rumori e di odori, i campanili tacciono. Non c’è anima viva. La ricordavo piena di vita e gente che con lentezza andava e veniva lungo il corso principale, come formiche riempiva in ogni piazza, ma anche fatta di alcuni luoghi deserti e silenziosi oggi sono rimasti solo questi ultimi. Per quarant’anni sono sceso dalle montagne dell’Altopiano delle Rocche, per trenta chilometri di curve, da giovane perfino in bicicletta, accompagnato dalla vista dell’incombente catena del Gran Sasso e il suo Corno Grande, d’inverno ricoperta di candida glassa nevosa. Dopo aver superato il Castello d’Ocre, pazientemente restaurato nelle mura dal suo misterioso compratore tedesco, raso al suolo dal terremoto, cominciavo a vedere la macchia rosata de L’Aquila. “…. Il castello, già sfiancato dai secoli, era stato beccato in pieno dalle scosse del 2009. Solo un torrione restava. Il resto era un mucchio di massi instabili simili a tibie, scapole e teschi umani. Inciampai, caddi, non riuscii a salirlo. Ocre era la quintessenza dell’Abruzzo. La rovina di una rovina …” . Così planavo lentamente, curva dopo curva, nella valle dell’Aterno e dopo aver superato il binario unico della ferrovia mi trovavo alle falde della collina sormontata dalla Basilica di Collemaggio che mostrava la sua abside circondata dal convento francescano.
Bianco & Nero
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- Terminal di Collemaggio
Arrivo alle 10 del mattino con la corriera che partita da Roma Tiburtina mi porta al terminal Collemaggio, intitolato a Lorenzo Natali, parlamentare aquilano che tanto si spese durante la prima Repubblica per il suo Abruzzo. Qui ho il primo impatto con il terremoto, il terminal che avevo lasciato nuovo razionalmente costruito e pieno di vita, con il bar e la tavola calda, la biglietteria, ora ha le porte a vetri tristemente sprangate e un cartello “inagibile causa terremoto”. Tutti i servizi sparsi nel piazzale dei bus, in container poggiati precariamente sulle aiuole dei giardini.
- Corso Federico II
Mi sono avviato lungo il corridoio obbligato del corso Federico II transennato a destra e sinistra fino a giungere a piazza Duomo, poche persone camminano senza fretta, a filo di transenne senza soffermare lo sguardo, come attraversassero una scenografia di cartone. L’albergo, la banca, i portici col cinema, costruzioni imponenti ben piantate nel terreno eppure così tristemente sprangate e chiuse.
- piazza Duomo
Sul Corso a Piazza Duomo, per mostrare la volontà di rinascita e rivincita, hanno riaperto le sorelle Nursia, quelle del famoso torrone abruzzese, con il loro bar. La piazza è stata liberata per metà, mentre l’altra metà è occupata da una specie di magazzino e da una grande tenda della Protezione civile.
Colore
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- Santa Maria di Paganica
All’interno del centro storico, la ormai mitica zona rossa, tutto deserto e silenzio macerie, rovina e solo qui e là qualche impalcatura. Su tutto inesorabile comincia ad avanzare la natura nel vuoto lasciato dall’uomo.
- Palazzo Ardinghieri
“…. cominciammo a parlare a bassa voce senza ragione apparente. Non volevamo disturbare il letargo delle pietre, e ci bastava un bisbiglio per capirci. In zona rossa all’Aquila si entra e si tace. Ci si lascia la vita alle spalle. In zona rossa un colpo di tosse è un tuono, il trillo di un telefonino un rimbombo …” . “… Ai piedi dei muri transennati di Santa Maria Paganica solo la fontanella cantava …” con un’improbabile tartaruga poggiata sul bordo, “… fra il portale trecentesco della chiesa e la soglia barocca del dirimpettaio palazzo Ardinghieri, venerabile magnificenza dal tetto sfondato”.
Fu allora che Patrizia mi svelò uno dei mirabili segreti della sua città. In via San Martino angolo via dei Lombardi, in piena zona rossa, tra le macerie di altre case, c’era un palazzo quattrocentesco intatto, appartenuto a tale Jacopo di Notarnanni. Ciascuno spigolo mostrava due piccoli gigli in ferro battuto. Erano abbellimenti delle catene antisismiche tese da secoli dentro i muri maestri. Poi vidi che ce n’erano dappertutto in città, seminascosti dai ponteggi. Erano una decorazione, disse Patrizia, ma anche un ex voto. Un simbolo di purezza dedicato alla madonna, perché il terremoto del 1703 era avvenuto il 2 febbraio, giorno della Candelora. Erano stati quei gigli incatenati fra loro a salvare molte parti dell’Aquila nel 2009. Ma vallo a spiegare ai talebani dell’antisismico, invasati da furia risanatrice…”.
L’Aquila era di una bellezza sconvolgente, unica, oggi è un’Aquila dall’ala spezzata che non vola più.
- Piazza Duomo
Le parti tra virgolette appartengono all’articolo “Le vestali della città del silenzio”di Paolo Rumiz – 12 agosto 2011 del reportage “Le Case degli Spiriti” pubblicate a puntate sull’inserto R2 del quotidiano la Repubblica).
(per vedere e leggere altro http://viaggiatori.minube.it/giuseppe-cocco/posti)