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L’Aquila e il mito della scienza

Creato il 24 ottobre 2012 da Faustodesiderio

Aristotele, la filosofia antica e la saggezza popolare dei nonni mi hanno sempre detto che i giudizi umani si dividono in due grandi categorie: quelli possibili e quelli impossibili. I giudizi possibili sono riservati alle azioni umane. I giudizi impossibili sono riservati alle azioni naturali e divine. Ci sono cose sulle quali l’uomo può intervenire e con la sua azione può modificare. Ce ne sono altre sulle quali la volontà dell’uomo non può fare nulla e il massimo che l’uomo possa fare è prendere atto della sua inanità, accettare la realtà e agire per il meglio di conseguenza. Se, ad esempio, un terreno è franoso o argilloso è consigliabile non costruire lì case, palazzi, abitazioni perché il rischio – grande o piccolo che sia – è quello che il terremoto si porti via tutto. Il giudizio umano, che nel tempo è diventato più sofisticato e intelligente grazie alle conquiste delle scienze e della tecnica, non può prevedere quando si verificherà il terremoto ma sa per esperienza che un terremoto ci può essere e, dunque, ciò che conta veramente è costruire bene per avere maggior sicurezza, dal momento che la sicurezza totale non è possibile raggiungerla.

Il tribunale de L’Aquila, però, ha condannato per omicidio colposo i sette membri della commissione Grandi rischi per aver avvertito in modo insufficiente sul terremoto del 6 aprile 2009. Il 31 marzo 2009 la commissione si riunì e nel verbale scrisse che «non c’è alcun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento» e aggiunse che «qualunque previsione non ha fondamento scientifico». Il giudizio dei giudici, invece, proprio perché condanna, stabilisce che è possibile giudicare e pre-vedere il terremoto ossia proprio quelle “azioni” naturali e divine sulle quali il giudizio umano risulta impossibile e la volontà inutile.

Si è parlato di sentenza choc. La rivista New Scientist – rivista non italiana – ha qualificato il processo come insensato. Dunque, non solo critica la sentenza ma, con Thomas Jordan, studioso di scienze della Terra, ha rifiutato anche l’idea di fare un processo sul terremoto: «Non vedo che senso abbia processare dei servitori dello Stato che cercavano in buona fede di proteggere la cittadinanza in circostanze caotiche. Con il senno di poi la mancata capacità di comunicare l’entità del pericolo appare incresciosa, ma le inazioni di una commissione sotto stress non possono essere rappresentate come atti criminali dei singoli membri». Lo studioso di scienze della Terra, pur con tutta la sua scienza, usa il più comune buon senso se non addirittura quel senso comune che in vicende processuali kafkiane come questa sembra essere del tutto smarrito o capovolto. Infatti, è stato notato che con la sentenza del tribunale de L’Aquila sul terremoto de L’Aquila la giustizia non c’entra niente e le nuove emergenze che ci potranno essere – che ci saranno – si presenteranno più difficili da gestire. Ciò che non è stato notato è che il criterio di giudizio del tribunale aquilano che mette insieme diritto, scienza, politica – troppa roba – può essere applicato ad altre “realtà” in cui gli uomini, con l’ausilio delle scienze e delle tecniche, ritengono di poter ben giudicare e pre-vedere cosa accadrà.

Ad esempio, come la mettiamo con le previsioni meteorologiche – quelle che usualmente sono chiamate “meteo”? In televisione, sui giornali, sui telefonini, sul web ci sono le previsioni meteo. A volte colgono nel segno, altre volte fanno flop. Ma quando le previsioni sono sbagliate e, per mille ragioni, si verifica il dramma, che cosa si fa? Le previsioni meteo sbagliate sono penalmente perseguibili come gli «avvertimenti insufficienti» della commissione Grandi rischi sul terremoto de L’Aquila? Insomma, se l’idea è quella che l’uomo sia in grado di giudicare e pre-vedere i movimenti sotto la terra, le nuvole in cielo, i venti a mezz’aria, le acque in mare e ciò che accade nelle viscere della Natura, allora, tutte le scienze, o quelle che tali si pensa che siano, sono sottoponibili al giudizio dei tribunali. La giustizia non riguarderà soltanto il rispetto delle leggi dello Stato ma anche il rispetto delle leggi della Natura che, stando al criterio di giudizio universale e cosmico, non saranno più leggi diverse ma coincidenti. La figura del giudice non sarà più quella dell’amministratore della giustizia umana ma sarà quella della giustizia divina che tutto sa e tutto vede e in base al suo “sapere assoluto” e incontrovertibile e inarrestabile può punire tutto e tutti. E’ questo il mondo che stiamo preparando?

Ma gli scienziati – della terra o del cielo o del vento o delle acque o del corpo o dell’anima – anche gli scienziati hanno le loro responsabilità. Soprattutto quando comunicano l’idea di una scienza capace di tutto conoscere e pre-vedere, capace di intervenire e risolvere tutto con la conoscenza. Soprattutto quando comunicano l’idea di una scienza infallibile, quasi come se fossimo nell’Ottocento e si potesse credere baldanzosamente alla conversione della razionalità nella bontà e viceversa. Ma oltre agli scienziati, anche i giornalisti o, ancor meglio, i cosiddetti mass-media, hanno le loro responsabilità. Soprattutto quando comunicano l’idea che attraverso l’uso delle conoscenze e informazioni scientifiche tutto si poteva evitare costruendo il mondo della piena e totale sicurezza. Il combinato disposto di una scienza volgarmente intesa come conoscenza della natura, di un’informazione in “tempo reale” e di una giustizia che intende fare la errata corrige del mondo generano le mostruosità della sentenza del tribunale de L’Aquila in cui la vittima più illustre è proprio il povero giudizio umano.

È vero. Molti dei disastri naturali che si sono verificati in Italia e che – faccio una previsione, mi assumo il rischio penale – si verificheranno ancora potevano essere evitati. Non perché si poteva e si potrà sapere in anticipo cosa sarebbe accaduto e accadrà in terra o in cielo, ma semplicemente perché è senz’altro possibile costruire meglio e nei posti giusti le case, è senz’altro possibile avere cura del territorio, ed è perfino possibile in città come Napoli o Roma pulire i tombini e fare la normale manutenzione delle fogne. Se gli italiani, in ogni inverno – la cattiva stagione -, hanno sempre le mani nel fango, è perché si costruisce con la regola dell’abusivismo. I terremoti, i nubifragi, le alluvioni ci sono sempre stati e continueranno ad esserci ma la peggiore sciagura naturale non è quella della terra e del cielo ma quella che ritiene che il miglior modo per difendersi dalla natura sia esorcizzarla con la trasformazione dei giudizi umani che da impossibili sono considerati possibili e penalmente giudicabili in ossequio all’idea della realizzazione della sicurezza o immunizzazione totale. Una follia.

Il mito della sicurezza totale è la fonte di questa follia. La sicurezza delle nostre città, delle migliaia di comuni, del territorio è una conquista che si fa con tante piccole e costanti accortezze. Quelli che chiamiamo disastri ambientali sono, nella grande maggioranza dei casi, disastri umani dovuti alla illegalità, all’abuso, all’incuria. Ma nell’illegalità e nell’incuria non possono rientrare anche i giudizi scientifici o quelli che riteniamo tali altrimenti al danno aggiungiamo la beffa e al male aggiungiamo il pervertimento delle scienze e della giustizia. La scienza per suo carattere è fallibile, altrimenti non è scienza. La giustizia per suo carattere è umana, altrimenti non è giustizia. Né la scienza, né la giustizia, rigorosamente pensate, possono contribuire a creare il mito della sicurezza totale e se, invece, come accade in Italia, questo succede, allora, vuol dire che siamo un Paese profondamente malato. Un Paese è profondamente malato quando crede sia possibile risolvere i suoi problemi morali con l’esistenza di un’inesistente scienza infallibile e una ferrigna giustizia illimitata. Così ci esponiamo al ridicolo al cospetto del mondo.
Nella sentenza del tribunale de L’Aquila c’è il declino e la decadenza della nostra cultura nazionale. Negli Stati Uniti, in Giappone, in Inghilterra stentano a credere. Quasi non capiscono. Perché si trovano di fronte a un corto-circuito tra scienza, politica, diritto, giornalismo. Tracey Brown, direttrice dell’organizzazione britannica “Sense about Science” ha rilasciato questa dichiarazione: «Invece di criminalizzare gli scienziati, i governi dovrebbero lavorare per comprendere e comunicare l’incertezza quando ricevono una consulenza scientifica». In Italia, invece, si fa il contrario: si diffonde, a più livelli, una concezione ideologica e terribilmente arretrata del lavoro scientifico costruendo il maniacale mito della sicurezza totale e quando la sicurezza viene meno, perché è solo questione di tempo, si ricorre al capro espiatorio. Trovato il capro espiatorio, che si trova sempre, il processo ricomincia daccapo, così all’infinito. Non si esce mai da questo circolo e non si approda mai ad una cultura delle responsabilità, dei saperi particolari, dei controlli, delle manutenzioni, delle regole. Insomma, quella cultura civile che costa fatica, che si costruisce con serietà giorno per giorno e non si improvvisa.

In Italia invece di lavorare su una cultura e una pratica della prevenzione si preferisce diffondere la pseudocultura della previsione. La previsione è l’esatto opposto della conoscenza dal momento che la conoscenza presuppone il fatto accaduto mentre la pre-visione ha la pretesa di conoscere ciò che non c’è ancora. La previsione seria è solo la prevenzione che non ricava la sua forza dal futuro ma dal passato ossia dalle esperienze dei mali e dei beni che fanno parte della storia umana di cui la stessa esperienza ci insegna di far tesoro. La scienza, persino le scienze teoriche, hanno una loro dimensione storica ma in Italia questa tradizione è stata deposta e ormai siamo diventati non solo un Paese senza memoria ma addirittura astorico. Siamo diventati il Paese dei vaniloqui.

tratto da liberalquotidiano.it del 24 ottobre 2012



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