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“L’arca parte alle otto” di Ulrich Hub e Jörge Mühle, Rizzoli

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

arcapartealleottocopChiunque sia, per fase di vita o professione, vicino ai bambini sa benissimo quanto questi, nelle loro domande o speculazioni mentali, siano prossimi alla filosofia e la metafisica. Sono anzi metafisici nella maniera più diretta e basilare possibile: quella di chi si trova ad avere a che fare con i quesiti posti alla base dell’esistenza per la prima volta e non ha alcuna sovrastruttura a dirigere il pensiero in una direzione o in un’altra.
Da adulti, quando ci avviciniamo all’indagine sui grandi temi dell’umanità, siamo talmente appesantiti da questioni come la cultura, la religione, l’ambiente di vita e similari, da sapere dove andiamo a parare già nel momento in cui ci poniamo il problema.
I bambini invece, almeno fino ad una certa età, sono salvi. Possono porsi domande complesse attingendo dalla propria esperienza diretta e, candidamente, seguire i fili dei loro ragionamenti giungendo, perfino, a picchi di profondità e saggezza invidiabili.

Rassomigliano un po’ al piccolo pinguino de “L’arca parte alle otto” di Ulrich Hub, illustrato da Jörge Mühle– libro già pubblicato da Rizzoli nel 2010, vincitore del Premio Andersen 2011 nella categoria Miglior libro 9/12 anni e ora riedito in una nuova veste.

Un piccolo romanzo irresistibile, giocato su un registro perfetto che mescola uno squisito umorismo ad un lievissimo, ma a suo modo pungente, stimolo alla riflessione e all’indagine esistenziale. Si legge sorridendo ma con la mente all’erta, tocca le corde della pancia, muovendo al riso, e quelle del pensiero.
E’ una di quelle letture che mi piace rassomigliare ad una torcia piccina che si sposta illuminando, un racconto che fa il solletico ma senza strapazzare troppo, che si chiude con soddisfazione sentendosi un poco divertiti, un poco allietati e un poco pungolati.

Ridendo – è ben noto – si può disvelare meglio che con il broncio serioso, anche quando il tema trattato ha a che fare con l’esistenza di Dio e la cornice della storia è quella biblica del diluvio universale.

I protagonisti sono tre pinguini, in tutto e per tutto simili tra loro, solo che due sono più grandi ed uno è piccino. Ci troviamo tra i ghiacci e le nevi del Polo, dove le vastità spaziali e temporali sono bianche ed omogenee, senza grandi speranze in un colpo di scena.
Quando quindi un bel giorno arriva una farfalla va da sé che questa scompagini un po’ la quotidianità e diventi, come da tradizione, innesco di una catena di avvenimenti piuttosto catastrofici.

Schiacciarla? Si chiede subito il piccolo pinguino. Perché no, in fondo, se se ne ha voglia? Ma i suoi compagni inorridiscono e così l’ingenuo animaletto, finora con ben pochi motivi per arginare il suo istinto, si sente disvelare i motivi supremi per non operare cattive azioni: il volere, il giudizio ed eventualmente la punizione di Dio.

Ma chi è Dio? Cosa ha a che fare con gli esseri della terra? E, soprattutto, se questo fantomatico dio è invisibile come si può essere certi che esista?
Senza scomodare la scommessa di pascaliana memoria, il battibecco tra pennuti evidenzia problematiche piuttosto interessanti. Anche se, tra una questione di etica, una di fede e un’applicazione, forse voluta forse no, di libero arbitrio, i tre amici finiscono per bisticciare e il piccolo pinguino abbandona la combriccola.

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E ciò avviene esattamente poco prima che un’esasperata e un po’ esaurita colomba arrivi ad annunciare che un grande diluvio sta per essere mandato da Dio per punire uomini e animali, troppo irosi e litigiosi, e che solo coppie di bestie possono mettersi in salvo sull’arca che, sia ben chiaro, parte puntuale alle otto. Chi c’è c’è.

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I due pennuti sono ben felici di ricevere il salvifico invito ma si rendono subito conto di non poter lasciare in balia dei flutti il loro piccolo amico.
La regola però – enunciata dalla burbera colomba, che continua, tra una lamentela e l’altra, a ciarlare a proposito della sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante – parla chiaro: solo due esemplari di ogni specie possono salire sulla mastodontica nave.

I pinguini decidono però di infrangere la rigida norma e, chiuso il piccolo in una valigia, lo portano a bordo dell’arca come clandestino.

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Da qui una serie di gustosi dialoghi e buffe situazioni, con sotterfugi e stratagemmi per non essere scoperti da una colomba sempre più sotto stress, lasciata sola, da un Noè ben poco efficiente, a dirigere tutto il tran tran dell’arca e le complicazioni create dai vari animali.

Il mix tra i pinguini grandi ingenui e imbranati, il piccolo fantasioso e istintivo, la colomba severa e scontrosa, con una predisposizione al sospetto e alla polemica, è scoppiettante e crea un effetto comico travolgente. Soprattutto quando, alla fine della pioggia, si scoprirà cosa il bianco volatile si è dimenticato e bisognerà porre tempestivo rimedio, sperando che Noè – e magari, se interessato, Dio – non presti troppa attenzione.
Ma in fondo i due, patriarca e divinità (se esiste), forse non guardano così tanto all’apparenza quanto all’essenza. E l’essenza, in materia di uomini e animali, è sempre quella che riguarda l’amore, l’essere se stessi e le buone intenzioni.

Credo che voler trarre, da questo racconto, un insegnamento o una morale sia davvero fare ad esso un torto. Si legge, si ride non poco e ci si rende conto, tangibilmente, che c’è un oltre, che esistono delle domande e perfino si può provare a dare ad esse delle risposte scomode.
Che la scelta è una: o ci si accontenta di quanto viene insegnato, perché qualcuno ce lo ha detto, o si mette sempre in discussione a fronte del proprio spirito critico, del proprio bisogno di non accontentarsi e della logica, e a volte perfino dell’istinto che albergano dentro di noi.

Che dio esista o meno, che sia giusto o no, che sia distratto o vigile, in tutti i luoghi o nelle profondità del cielo, che giudichi gli uomini o poco se ne importi, che abbia mandato il diluvio o semplicemente abbia piovuto per tanti giorni…ciò che conta è riconoscere che, alla stregua del piccolo pinguino – e perfino dei suoi buffi amici – possediamo un libero arbitrio che ci permette di scegliere per noi stessi come comportarci, se seguire le regole o infrangere quelle che non ci sembrano giuste – magari in nome di un’amicizia o un sentimento– che ci dà modo di essere clementi con noi stessi in quanto esseri fallibili ma perfettibili e ci rende la facoltà di amare come vogliamo e chi vogliamo.

Infondo questa esistenza di dio spiegata da tre pinguini, come pomposamente ma ironicamente declama il titolo, altro non è che l’esistenza della possibilità di essere, di vivere e di scegliere, non come esseri soprannaturali ma come creature vive, imperfette e pensanti.

Ben più di un cenno meriterebbero le fresche e spassose illustrazioni di Mühle che inframezzano il testo sottolineandone e amplificandone vivacità e comicità. Mosse e dinamiche nel tratto, eloquenti nell’ interpretare caratteristiche e umori dei protagonisti, rendono la lettura ancora più divertente e briosa.

(età consigliata: da otto anni per la lettura autonoma)

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