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l'Architettura della Stazione Centrale di Milano, tra tardivi classicismi ottocenteschi e larvate tensioni di modernità. Un monumento di cattivo gusto come scrigno di piccole gemme.
Creato il 26 settembre 2013 da EmercataliMILANO CENTRALEQuando il dettaglio decorativo supera in qualità l'assieme
Questo articolo ci è stato suggerito dalla contemporanea apparizione nelle nostre mani di alcune fotografie della Stazione Centrale di Milano e d'un numero della rivista FMR, del 1984, che ne riportava le belle fotografie, alcune delle quali qui riportate (dovute alla professionalità di Paolo Belloni e Marzia Malli). Il confronto tra tali documentazioni ci ha permesso di riconsiderare parecchi fatti che hanno concorso in modo preponderante alla storia urbanistica della Città di Milano, nonchè alla storia del gusto in un periodo tanto problematico per Milano e per il nostro Paese: la contemporanea nascita della dittatura fascista con il momento apicale dell'evoluzione del gusto nelle arti e nell'architettura, nel passaggio che vede oltrepassate le rivisitazioni stilistiche del passato, tipiche dei revivals a cavallo dei secoli XIX e XX per aprirsi alle rivoluzionarie avanguardie del moderno. Una fase questa che ha visto l'Italia ed anche Milano ancorate ad un certo provincialismo che ha impedito scelte più coraggiose e innovative. Le fotografie che riportiamo della facciata della stazione milanese sono state realizzate in epoche diversissime: la prima, quella sotto al titolo, si deve alla fotografa svizzera Irene Kung, che ne assaggia in modo lieve e quasi romantico, i lineamenti essenziali, adottando una quasi acritica atmosfericità, mentre l'altra, quella posta alla fine dell'articolo, è una foto scattata per una cartolina nell'immediato dopoguerra, e mostra quanto fosse preferibile il viale che conduceva allora alla stazione (via Vittor Pisani), rispetto a quello, bruttissimo e anonimo, di adesso. In entrambe le foto la stazione è se stessa, senza troppo apparire, per fortuna. nel disegno sottostante, invece, un disegno originario di Stacchini, l'autore della stazione, che mostra una versione, non realizzata, assai migliore di quella realizzata, con la presenza delle due torri dell'orologio, poi abolite.
Questo disegno di Ulisse Stacchini (1912), autore della Stazione Centrale di Milano, mostra una freschezza d'esecuzione e perfino di concezione che molto fa somigliare questo progetto a quello delle migliori stazioni ferroviarie europee di quegli anni (possiamo confrontarla ad esempio a quelle della splendida stazione di Helsinki, quasi coeva (1914), opera di Eliel Saarinen. Non sappiamo quali eventi fecero sì che le modifiche maggiori riguardassero proprio i dettagli migliori di questo primo progetto, che vennero sostituiti da soluzioni decisamente inferiori, se non proprio mediocri.
Più sopra particolare della facciata attuale della Stazione centrale di Milano, nella bella fotografia di Irene Kung. Il soggetto, però, con tutta evidenza, non ha proprio le caratteristiche di un capolavoro. Essa è amata, certo ormai, dai cittadini milanesi, ma non ha mai goduto il favore della critica.
Sopra al titolo: Il Faraone che sputa acqua, scultura in duplice copia, ai lati estremi di facciata, che colpisce il passante con la sua espressione grottesca e priva di significato, fa parte d'una simbologia da campionario di tardo revival, il cui stile teatrale era più in voga a metà del secolo XIX piuttosto che negli anni di realizzazione: segno di stanchezza espressiva e di incapacità d'autorappresentazione della borghesia cittadina dominante.
La statuaria monumentalista, adottata a coronamento delle facciate dell'edificio di testa della stazione ferroviaria milanese, è tutta incentrata sulla retorica classicista d'una virilità superumana, ampiamente diffusa dalla propaganda del regime recentemente insediatosi al potere del Paese. Le figure e le pose adottate non coincidono propriamente con una concezione internazionalista dell'architettura, e tanto meno con le sue versioni meno legate alle simbologie del potere. Nella versione finale della concezione architettonica adottata per la facciata della stazione milanese giocarono negativamente le diverse e contrapposte linee delle commissioni di ornato preposte alle scelte finali, che non seppero trovare un equilibrato compromesso sulle diverse ipotesi allora sul tavolo. Ed allora, alcuni ebbero la meglio sulle strutture, altri sull'illuminotecnica, altri ancora sulla statuaria ed altri sulla concezione generale, così facendo risultare un assieme privo di qualunque coerenza.
Le due belle fontane qui sopra illustrate, scoperte nello sfogliare il numero della rivista FMR del novembre 1984, appartenenti alle sale "del Re soldato" ed alla "Sala Reale", sono collocate in ambienti non frequentati dal pubblico. Si nota in esse una maggiore e più raffinata bellezza di forme e di concezione, forse frutto d'uno studio particolare, data la collocazione speciale ad esse dovuta.
Mentre l'assetto generale dell'edificio di testa, della stazione ferroviaria milanese, si adeguava al gusto imperante nel resto d'europa, con alcune importanti eccezioni, pur rifugiandosi in una versione più provinciale e assai meno capace di coglierne gli aspetti più evoluti e raffinati, l'uso dei dettagli decorativi, e soprattutto simbolici, rimaneva ancorato ad una concezione decisamente classicista e retrò, proposti per di più in una versione stilizzata dalle linee rigide, schematiche, fortemente accademiche (come nei dettagli qui sopra riportati si può ben vedere).
Sistemi illuminotecnici di pregevole design, disegnati personalmente dall'architetto Ulisse Stacchini, decorano in modo discreto, e perfino a volte assai poco visibile, i vasti ambienti interni della stazione, o le alte ringhiere delle scale. Sono dettagli a volte di notevole raffinatezza e di bell'aspetto, denotanti la cura che, del dettaglio, si facesse all'epoca della costruzione. Del progetto d'assieme, dell'edificio complessivamente inteso, vennero presentate numerose varianti, ma, proprio quella scelta per le fasi finali e per l'avvio del cantiere non corrispose ad altrettanta finezza, e fu dettata invece da esigenze di ordine superiore e frutto di compromessi tra i diversi orientamenti di chi aveva mandato a decidere.
Nella concezione della stessa struttura metallica, adottata per la Stazione di Milano così come era anche da tempo in voga in tutte le grandi analoghe costruzioni pubbliche europee, ancora un certo provincialismo di gusto fece propendere l'autore del progetto per un parziale innesto di decorazioni nelle campiture di copertura, pur tuttavia senza mascherarne l'orditura primaria, così ottenendo un mix dalla dubbia efficacia architettonica.
La stazione Centrale di Milano fa da sfondo a una veduta prospettica di via Vittor Pisani, in una fotografia d'inizio anni '50 . In essa non vi si vedono che auto del periodo prebellico, ma il "ghisa", in abito estivo, è già a dirigere il traffico, come avvenne a partire dal dopoguerra. La via è interamente lastricata in granito, le case sono tutte realizzate tra la fine dell'800 e gli anni '30, gli anni del trasferimento della stazione da piazza della Repubblica a piazza Duca d'Aosta. Lungo la via sorgevano due filari di alberi d'ampia chioma. Oggi la via è interamente cambiata. Il suo volto si è modernizzato, imbruttendosi. Non più un filo d'erba decora il suo percorso. Ma la stazione Centrale è sempre quella: goffa e brutta come poche in tutta Italia, priva di qualsiasi attrattiva, anche se contenente tanti piccoli tesori d'arte, e belle memorie d'uno stile Deco, che, nella città, sono perfino rarità.
Enrico Mercatali
Milano, settembre 2013
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