A 51 anni Mario Cucinella, architetto palermitano con studio a Bologna, è tra i più attivi sui temi legati alla progettazione ambientale e alla sostenibilità in architettura, un vero guru mondiale del green building. Di ritorno da Friburgo, prima città al mondo ad aver realizzato un quartiere ecocompatibile, dove ha ricevuto dal sindaco il premio alla carriera per il suo impegno nella ricerca di nuove soluzioni tese alla realizzazione di un’architettura sostenibile, Cucinella riflette sull’evoluzione delle città e sulle possibilità in Italia e in Sicilia di voltare pagina anche alla luce dei risultati del referendum che ha bocciato il nucleare.
«Le città diventeranno sempre di più i luoghi dell’abitare, della cultura, del lavoro, della socialità, delle relazioni – attacca Cucinella -. Il trend degli ultimi trent’anni è che il 70% della popolazione si è spostata nelle città che sono diventate i luoghi della convivenza. Aspetto quest’ultimo che sarà uno dei temi più difficili da gestire per la politica. E’ importante prendere coscienza che la città rappresenta una grande opportunità per la popolazione: è una macchina magica, un luogo importante dove l’inurbamento è il risultato delle infinite possibilità che offre. Non per nulla una delle indicazioni arrivate dalla Comunità europea riguarda le diversità sociali e le soluzioni ecologiche che saranno i due ambiti a generare maggiori conflitti sociali. In Italia ci sono città dove sono state fatte pianificazioni e altre dove sono state fatte in misura minore, condizioni che saranno foriere di conflitti sociali sempre più gravi».
- Questo implica un ripensamento dell’architettura urbana?
«Assolutamente. Non mi piace, però, quando si dice che tutta la colpa dei problemi attuali è degli architetti che, fin qui, hanno avuto molto poco spazio nella pianificazione. Il 90-95% di ciò che si costruisce nel nostro Paese e in giro per il mondo non è progettato dagli architetti. Bisogna partire dall’idea che l’architettura è una cosa molto seria, è un atto di grande responsabilità perché un edificio rimane per molto tempo ed è anche una scenografia urbana».
- Capita spesso però che nonostante il valore dell’architettura urbana, questa poi non venga affiancata dalla giusta infrastrutturazione vanificandone la funzionalità.
«Questo è stato il grosso errore dell’urbanistica degli ultimi 30 anni che ha dimenticato il tessuto sociale, le reti e le infrastrutture. Si è pianificato per funzioni (aree per il lavoro, per l’abitare, per la cultura, per la sanità), pratica che gli urbanisti chiamano zoning, e si è finito per ghettizzare. Questo è un sistema al collasso perché indubbiamente abitare e lavorare vicino è più sostenibile. L’urbanistica sostenibile è quella del mix tra le varie funzioni».
- Come si fa?
«Bisogna partire da una ‘manutenzione’ delle periferie. In Italia, dove non ci sono megalopoli, è importante fare operazioni importanti in tema di sostenibilità. Per farlo, però, bisogna instaurare un dialogo partecipativo con i cittadini perché spesso c’è poca conoscenza da parte della politica della struttura urbana della città, delle reti invisibili dei cittadini. Bisogna partire da una microvisione: capire come la gente utilizza i quartieri e capire quali sono i ‘punti di sofferenza’ per poi toccarli con microinterventi simili a quelli degli agopuntori».
- In questo s’innesta la coscienza ecologica, bisogna pensare ad edifici sostenibili dal punto di vista energetico ed ambientale.
«Il vero cambiamento sta in una nuova cultura che parte dall’educazione. Ognuno dovrebbe capire che ogni propria azione ha un costo sociale molto importante. Si dovrebbe cominciare a fare manutenzione energetica agli edifici non storici delle periferie gli ultimi quarant’anni. Soltanto pochi sanno che il 50% di tutta l’energia prodotta viene consumata dagli edifici, quindi il mondo delle costruzioni è uno degli attori fondamentali della rivoluzione ecologica. Solo cominciando a vedere gli edifici come un’opportunità si potrà cominciare a risolvere il problema energetico. Nei paesi del Mediterraneo, pieni di sole e vento, piuttosto di costruire grandi parchi energetici dove c’è sempre chi produce e chi compra, la chiave è quella della piccola autoproduzione elettrica».
- L’Italia è matura per questo passaggio?
«Scoprendo che con un piccolo incentivo riesce a costruire un impianto che permette di risparmiare molto la gente capirà in fretta. Oggi si va verso le smart grid (reti intelligenti, ndr) che permettono l’autoconsumo e l’inserimento in rete del surplus di energia prodotta. E’ una rivoluzione simile a quella di internet che ha cambiato il mondo: ognuno partecipa per un pezzettino. Con la bocciatura del nucleare cambierà molto: crescerà ancora la coscienza di sapere come l’energia viene prodotta. La Sicilia, per esempio, è una regione piena di sole e vento e di risorse economiche come ogni regione a statuto speciale. L’Isola potrebbe diventare il prototipo del Mediterraneo dove sviuluppare una nuova cultura dell’energia in città che sono state penalizzate dalla brutalità della speculazione. I cittadini siciliani hanno un enorme credito nei confronti della politica ed è arrivato il momento di saldarlo cominciando a curare le città e lo spazio pubblico: piantando alberi, realizzando parcheggi, lavorando alle infrastrutture prima che agli edifici».
- In Sicilia è possibile coniugare questo con il ripensamento degli spazi urbani?
«Non c’è cambiamento urbano o architettonico se non vengono realizzate le infrastrutture. In Sicilia occorre cominciare dagli strumenti che già esistono: prg, strumenti attuativi. Il problema è che spesso il pubblico ha rinunciato a giocare la partita della pianificazione. Immagini se domani un Comune siciliano decida di costruire il primo eco-quartiere del Mediterraneo: potrebbe diventare un faro per tutti i paesi vi si affacciano».
(intervista pubblicata su La Sicilia di sabato 18 giugno)