L'area archeologica S'Ortali 'e su Monti, Tortolì

Creato il 02 gennaio 2012 da Cinzial
Il sito archeologico S'Ortali 'e su Monti a San Salvatore, Tortolì
Il nuraghe

Nel Parco Archeologico di S. Salvatore - S’Ortali ‘e su Monte, a Tortolì, sono presenti i resti di un nuraghe complesso e di un antico villaggio. Vicine, si trovano anche domus de janas e una tomba dei giganti.
Il nuraghe di Tortolì ha un muro di cinta (o bastione) che collega tre torri, e l’andamento del muro è di forma irregolarmente ellittica (cioè, simile a un ovale).
Le torri secondarie del nostro complesso non sono state ancora riportate in superficie, e perciò sono ancora ricolme dei materiali di crollo e di riempimento che si sono accumulati nel tempo. Quando nuovi scavi le porteranno alla luce, potranno dare molte informazioni che arricchiranno le nostre conoscenze. La torre principale, invece, quella che svetta al centro della struttura fortificata, ha visto concludersi nel 2010 uno scavo che ha raggiunto, per la prima volta, il piano di frequentazione risalente alla sua costruzione (avvenuta ne1500 avanti Cristo circa: significa che il nuraghe è stato costruito 3500 anni fa).
Il villaggio

Intorno al nuraghe, gli scavi degli archeologi hanno mostrato l'esistenza di molte capanne: erano costruzioni all'interno delle quali gli antichi abitanti vivevano e lavoravano. Vi era anche, fra le capanne, un ambiente in cui si conservavano le riserve di cibo, in particolare grano. Resti di grano sono stati trovati anche in alcune capanne, in recipenti e in grossi contenitori di ceramica, chiamati ziri o giare. Quasi tutte le capanne finora ritrovate (una decina) hanno anche una o più macine (una macina serviva per schiacciare i chicchi di grano e ricavare la farina). Si dimostra così che la principale attività che si svolgeva nell'antico villaggio era la raccolta e la  lavorazione del grano, attività che doveva sicuramente prevedere la coltivazione intensiva delle fertili pianure che si trovano ai piedi dell’area archeologica. Il grano veniva dunque prodotto in quantità tali da poterlo scambiare con altri beni, diventando componente importante di traffici commerciali.
Futuri scavi archeologici potranno farci scoprire quanto era grande il villaggio, anche se già ora si capisce che esso occupava tutto un fianco della collina e atre due parti del terreno intorno, per un totale di almeno cinquanta capanne; ciò significa che il villaggio poteva essere abitato da almeno 250 persone.
Le domus de janas

Prima ancora che il nuraghe e il villaggio fossero costruiti, nei pressi del nuraghe uomini del Neolitico avevano scavato nella roccia una specie di piccola grotta, usata per la sepoltura dei morti. Un luogo di sepoltura di questo tipo è chiamato ipogeo, ma noi sardi lo indichiamo col nome di domus de janas. Le domus de janas di San Salvatore esistono probabilmente dal 3500 avanti Cristo, cioè da più di 5500 anni, e sono state utilizzate per migliaia di anni, anche durante il periodo nuragico.
Gli studiosi pensano che il culto dei morti fosse infatti la forma di religiosità più diffusa in quei tempi, insieme con pratiche religiose che gli antichi credevano li aiutassero a favorire la continuità della vita e la fertilità della terra. Sono tutti elementi che troviamo nella domus de janas: la forma della tomba vuole simboleggiare il ritorno al ventre della Dea Madre; la posizione che si faceva assumere al morto era quella del bambino non ancora nato nel ventre materno, a rappresentare appunto il ritorno nella posizione che ci porta alla vita. I corredi funebri, cioè gli oggetti che accompagnavano i morti, erano recipienti di  ceramica di cibi e bevande che dovevano accompagnarli in quella che gli antichi ritenevano fosse la prosecuzione della vita. Nelle domus de janas si sono ritrovate statuine della Dea Madre, decorazioni di corna di toro che simboleggiavanola divinità maschile, il Dio Toro: elementi usati dagli antichi nella celebrazione di culti religiosi per chiedere alle divinità la fertilità della terra, che probabilmente erano celebrati all'arrivo delle nuove stagioni.
I menhir

Visitando il parco archeologico è possibile anche osservare due menhir. Un menhir è una grossa pietra (monolite) di forma allungata piantata nel terreno. I due menhir di San Salvatore sono probabilmente gli unici rimasti di circa una dozzina di  monoliti; ne sono rimasti soltanto due perché gli altri furono usati in antico per la costruzione del nuraghe e della stessa Tomba dei Giganti. I menhir sono un’altra espressione del culto dei morti; sono contemporanei delle domus de janas e legati a esse. Sono infatti allo stesso tempo un simbolo di fertilità e una stele funeraria (un monumento in ricordo e in onore di un morto) a ricordo di un defunto sepolto nelle vicinanze (per l’appunto, in una domu de janas). Sono perciò in relazione con le vicine grotticelle funerarie, e col culto per la fertilità della terra che lì si celebrava.
La tomba dei giganti

Sempre nei pressi del nuraghe possiamo osservare un'altra sepoltura nuragica, la tomba dei giganti. Nella parte frontale di questo monumento funerario sta una serie di monoliti (il monolite è una grossa pietra) messi in verticale in modo da formare un semicerchio e a costituire la fronte del monumento, che viene chiamata esedra. Anche qui possiamo notare che le pietre piantate verticalmente nel terreno erano legate ai sepolcri, cioè alle tombe.
Al centro della fronte del monumento sta una pietra più imponente, la cosiddetta stele centinata, che presenta una scorniciatura in bassorilievo di forma grosso modo quadrata. Questa è solo una parte di una stele che era composta da due blocchi.
I morti venivano deposti in una parte della tomba, il corridoio funerario, che pur essendo stretta permetteva il passaggio per poter seppellire i corpi che, in un corridoio funerario di queste dimensioni, potevano arrivare a superare le centocinquanta. Si è constatato che, in questa tomba, venivano sepolti indistintamente uomini, donne e bambini, ma è incerto se tutti questi fossero semplicemente abitanti dell'intero villaggio o appartenenti a famiglie ritenute più importanti. 
(Adattato da testo originale di Rinaldo Deiana)

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