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E dunque, qui dovevo fermarmi, per forza. Sono a Cordoba, la città dove è nato Che Guevara. Non sono un nostalgico, ma non potevo mancare.Sono quarant’anni che il Che è morto e ancora non trovo nemmeno qui, nella sua città natale, come in tutta l’Argentina, il giusto riconoscimento a quello che ritengo il loro figlio più conosciuto al mondo. E non credo di sbagliarmi.Più di Evita Peron, di Gardel di Borges o dello stesso Maradona. La cosa singolare è che il Che, ancora oggi, viene un po’ usato da tutti nella sinistra della politica argentina. Perfino una parte del movimento peronista, che lo accosta a Peron e alla amata Evita. Le foto che ho scattato a una manifestazione possono rendere l’idea.E allora, quando il Che morì in Bolivia, così come negli anni immediatamente successivi, le contingenze storiche e le passioni politiche impedirono, a coloro che rifiutavano di fare dell’Argentina un’altra Cuba un’analisi serena della figura e dell’opera del “comandante”. Oggi a tanti anni di distanza, una simile analisi potrebbe essere fatta. E allora cos'è che rimane, qual è la lezione vera che si può trarre da una vita che generazione dopo generazione è diventato il mito più grande della storia moderna?Proverò a rispondere così. Ciò che rimane non è nei sogni ormai ingialliti di un marxismo morto o agonizzante, ma nell’esigenza di un rovesciamento radicale della società e del potere, un’immagine della rivoluzione come atto assoluto, come gesto puro ben oltre gli angusti limiti del marxismo storico. Ecco, Che Guevara come rivoluzionario assoluto: così mi piace ricordarlo e così generazioni e generazioni di giovani ne hanno fatto un simbolo virtuale. Tutto ciò che è antiautoritario e liberale passa attraverso la sua immagine. Il Che è l'alfiere di una utopia che proprio nella sua sconfitta realizza i suoi valori morali, sottraendosi al banale e corruttore compito della gestione di una vittoria che non poteva venire. Penso questo mentre sto seduto davanti al liceo che il Che ha frequentato quando era ragazzo a Cordoba.Dalla panchina assolata riesco a vedere i ragazzi che sciamano fuori e qualcuno porta con sè, nella maglietta o appiccicata allo zainetto dei libri, proprio l’immagine del Che. Quella bellissima immagine con lo sguardo diritto e il sorriso dolce. Ha ragione Guccini “gli eroi sono sempre giovani e belli”. Entro dentro la scuola e trovo scolpita in una parete una poesia di Rafael Alberti. Eccola qui.
Ti ho conosciuto bambinolì, in quella terra di Cordoba argentinamentre giocavi tra i pioppi e il granturco,le mucche delle vecchie fattorie, i braccianti
Non ti ho più rivisto, finché un giorno seppiche eri luce insanguinata, il nord,quella stella che ogni attimo bisogna guardareper sapere dove ci troviamo
Non c’entra nulla con Che Guevara però il pensiero vola al mio paese e ad un’altra rivoluzione: quella berlusconiana. Che pena. Che tempi. Buon anno a tutti.
http://picasaweb.google.com/titobarbini26
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