Quando, oltre dieci anni fa, per una miracolosa intercessione dei curatori della posta di un noto quotidiano nazionale, riuscii a comunicare con uno dei giornalisti di spicco del medesimo, senza avere nulla da offrire in cambio, se non una buona dose di ingenuità da ventenne, ricevetti una lezione di vita che ancora oggi mi accompagna nella valutazione dei tempi.All’epoca, attraversavo un buio esistenziale e mi pareva che la società intorno lo stesse vivendo se non nelle mie stesse forme, in una modalità sufficientemente angosciante da indurmi a spostare l’attenzione della difficoltà del mio vissuto sull’esterno e sugli altri.
Le parole del bravo e gentile narratore di storie mi svegliarono da quella mia intima e, per certi versi, comoda convinzione.
Gli anni del rimpianto-olio su tela di Antonio-Peluso
Mi si disse, con tono pacati e fermi, che i tempi certamente avrebbero potuto essere migliori, ma che, in fondo, non erano così carichi di disperazione come io li avevo dipinti nella lettera appassionata che gli avevo inviato e da cui già avrei dovuto ricavare un mio qualche interesse letterario. Doveva ancora affacciarsi la crisi, quella economica, quella dell’assenza di un lavoro, della difficoltà di concedersi l’essenziale, quella dei licenziamenti e delle esistenze troncate da un’incapacità di vivere e di fare fronte alle insicurezze di un’instabilità, a cui non ci si abitua per paura o per crescite improvvise e irrealizzabili con gli inadeguati strumenti a disposizione.
Di crisi, in quel tempo, c’era solo la mia.
Incominciai a scindere i piani grazie a quel prezioso contributo e, ancora oggi, esso torna utile per leggere e rileggere i tempi attuali. Questo perché, in sostanza, esiste, al di là del dato oggettivo, che appartiene alla realtà fenomenica, un percorso e un senso esclusivamente nostri, che possono coincidere con il dato storico per un incastro “perfetto”.
Quando al giornalista scrissi, stavo male e non avevo ben chiaro il mio futuro che pure quelle parole attentamente scritte, con intaglio millimetrico, avrebbero dovuto rivelare in una passione chiamata scrittura.
Perfettamente corrispondente al reale, oggi, l’evidenza di una necessità di ripensamento del lavoro e delle sue declinazioni, ma altrettanto vero che la perdita di un posto di lavoro o la sua ricerca senza esito ci pongono di fronte a noi stessi e, quando non sopraffatti dalla paura o quando ce lo possiamo concedere, siamo nelle condizioni di tramutare eventi nefasti nel principio di un nuovo percorso di vita.
Passeggiando nella nebbia (olio su cartone telato), di Manuela Lavezzi
In queste pieghe, nascono non solo la mia passione per lo scrivere diventata gioia tangibile anche nelle pagine di questa rivista, ma anche la storia di Antonio e Manuela, due giovani che a Bologna si incontrano per comuni amicizie e danno sbocco e forma rinnovata alla passione grande per l’arte e la bellezza, per i colori e la luce, per una vita nuova.
L’uno, eclettico artista dai tanti talenti, dal passato turbolento e non ancora del tutto sistemato, dalle mille paure e dalle fragilità di un’Anima ancora troppo votata al femminile, in cerca di un posto nel mondo in tempi tristi, in cui arte e cultura non hanno spazio, quasi fossimo troppo presi dall’economia per sentire che, in un Paese come il nostro, con l’una e l’altra potrebbero vivere in tanti.
L’altra, solare creatura, che anni di diritto non hanno spento e che non si è arresa all’idea che l’arte debba essere solo una passione, da quando, ripresi in mano i pennelli, l’ha saldamente riafferrata, quella passione, e, nel rispetto di un percorso pur lodevole di sacrifici e studi giuridici, ha capito di essere altro e di stare intimamente bene altrove.
A ben guardare, l’etimologia del termine “crisi” racchiude molto del senso di queste due vite, laddove essa si connota quale scelta, dunque opportunità per dare spazio a un sommerso tenuto a bada da presunte necessità e da ruoli precostituiti e comodi, almeno in apparenza.
Nel prosieguo della nostra storia, le forze unite dei due giovani artisti conducono, nella loro ricerca di una tappa al loro girovagare verso un canale di relazione con l’esterno, a una mostra, a un’esposizione in cui quel sommerso si affaccia e racconta: racconta di una luce celata e di uno sfavillio di colori, racconta di note malinconiche e di femminili passati o in via di definizione, racconta di forme nette e di confini labili, racconta di distanze e di avvicinamenti alla propria intima identità, racconta di ricerca di sé.
Nell’istante in cui queste mie parole troveranno uno sbocco, dando consistenza anche alla mia, di passione, maturata a sufficienza in dieci anni, cioè quella per lo scrivere, la mostra sarà prossima alla fine.
Per Manuela e Antonio sarà stato solo l’inizio.