Quando si parla di opere d’arte contemporanea
come in tutte le cose, per comprenderle occorre un poco di allenamento e passione.
La curiosità c’è; l’allenamento ancora mi manca.
Ho ancora bisogno che qualcuno mi spieghi il senso di certe installazioni, performances, video… probabilmente dovrei vivere alcune mostre. Immagino che una cosa sia vedere la foto di “Square depression” di Bruce Nauman (2007, Muenster), e un’altra sia camminarci sopra, sentirsi attirare dal centro, convergere insieme a degli sconosciuti.
Ma allo stato attuale, se mi trovassi davanti a un “Concetto spaziale” (Fondana, 1950), ne coglierei qualcosa che vada al di là della tela giallognola e bucherellata? Non lo so.
Sono affascinata da alcune personalità artistiche: Beuys col suo coiote e le sue 7.000 querce, ma anche con l’invenzione della sua genesi artistica; Warhol che ha fatto da bersaglio a una pazza e che ha rischiato di morire; Ai Weiwei, artista e dissidente cinese che ha scelto di restare nel suo paese affrontando anche il carcere…
Però le opere le trovo ancora difficili da decifrare da sola.
La Vettese aiuta a sciogliere qualche pregiudizio; ad esempio, la necessità di riscontri emotivi, di “bellezza”, poesia, elementi che sono svicolati dall’arte odierna.
Mi fa ripensare in termini nuovi al fastidio che provo davanti alle provocazioni (il nudo, il raccapricciante, l’estraniamento…) o davanti alle quotazioni assurde che raggiungono alcuni pezzi (magari delle semplici foto numerate); ma rimetto in dubbio anche la c.d. libertà degli artisti: dallo stato, dalle ideologie, dal mercato, dai soldi: la libertà dell’artista esiste davvero?
Un ultimo appunto: la Vettese nomina tantissime personalità, scrittori, filosofi, curatori, collezionisti, artisti. Solo per caso mi sono accorta che ne manca una: Vittorio Sgarbi.
Non c’è neanche di striscio.