Una tecnica stilistica applicata particolarmente alla drammaturgia che gode di questa lunga simpatia da parte del pubblico è quella del grammelot. Il termine, forse di origine veneziana, indica una recitazione basata sul gioco di parole, sull'assembramento di suoni reali o inventati, di versi e smorfie che danno vita a parole apparentemente senza senso, accozzaglie di foni che possono o meno ricordare linguaggi della comunicazione reale.
Questo accorgimento è tipico della produzione farsesca e serve a provocare nel pubblico un disorientamento che deve sfociare in risata e si trova nella tradizione teatrale fin da Aristofane (450-385 a.C. ca.), il caposaldo della commedia antica greca, ma ritorna nella produzione occidentale riversandosi nell'arte giullaresca e nel plurilinguismo che caratterizza i personaggi della Commedia dell'Arte fra il Cinquecento e il primo Settecento.
Un primo antesignano del grammelot si trova nella commedia aristofanea Acarnesi (425 a.C.), precisamente al v. 100, pronunciato da Pseudoartabano, appena entrato in scena, e occupato da un trimetro giambico costituito da un'unica, intraducibile parola: ἰαρταμὰνἐξάρξανἀπισσόνασάτρα; A. Grilli, nella sua traduzione[1], si limita a traslitterarla con Iartamanexarzanapiaonasatra, precisando che il verso costituisce probabilmente una commistione di suoni di apparenza persiana non distinti intenzionalmente dall'autore per rendere il carattere ingannevole e i raggiri del personaggio che le pronuncia.
Un secondo, veritiginoso esempio di questa glossolalia è contenuto in un testo di diversi anni dopo, Le donne in assemblea (391 a.C.), dove il coro presenta un piatto che sta per essere servito a Blepiro servendosi di un'unica parola che riempie ben sette versi (vv. 1169-1176): il «pasticcio di ostriche pesci coniglio salsa pesto silfio formaggio miele tordi merli colombi piccioni polli cefali arrosto palombi putrettole lepri mostarda alucce» (che Grilli ci fa la cortesia di separare in parole distinte) è in realtà un solo termine risultante dalla traduzione di:
λοπαδοτεμαχοσελαχογαλεο-
κρανιολειψανοδριμυποτριμματο-
σιλφιοτυρομελιτοκατακεχυμενο-
κιχλεπικοσσυφοφαττοπεριστερα-
λεκτρυονοπτεκεφαλλιοκιγκλοπε-
λειολαγῳοσιραιοβαφητραγα-
νοπτερυγών.
Come in una natura morta cubista di Braque, idea visiva al fenomeno lessicale del grammelot, è difficile capire dove finisca una parola e dove ne inizi un'altra, gli elementi sono parzialmente riconoscibili, ma inseriti in una sequenza a raffica che l'alterazione degli accenti di parola prevista dalla catena metrica doveva rendere ancor più caleidoscopica per lo spettatore.
Il fenomeno, come si è detto, caratterizza anche molte trovate mimico-farsesche della commedia dell'arte, dove il gioco di parole e la confusione dei suoni hanno un ruolo primario nello stimolare la risata. In questo senso, molto apprezzabili sono le gag dell'Arlecchino portato sulla scena da Ferruccio Soleri e, in generale, le commistioni di registri linguistici e parole tratte da diversi dialetti e mescolate con suoni (pernacchie, sputi, risate ecc.) che caratterizzano il ruolo stereotipato del suo particolare personaggio. Ma non va dimenticata l'originale pastone espressivo realizzato da Dario Fo nel suo Mistero Buffo (1969) sulla base di diverse parlate padane intrecciate in una recitazione direttamente ispirata alle composizioni giullaresche.
Più di recente, il fenomeno del grammelot ha riguardato la produzione musicale, quasi sorridendo dell'abitudine diffusa di storpiare termini ed espressioni di canzoni straniere non pienamente o per nulla comprese. Se le generazioni più giovani ricorderanno più facilmente il brano tormentone dell'estate 2002 Aserejé, un caso più datato e di produzione italiana è Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano (1979), nel cui ritornello si ripetono le seguenti parole:
«Ai ai smai sesler eni els so co uil piso ai
in de col men seivuan prisencolinensinainciusol ol rait
ai ai smai senflecs eni go for doing peso ai
in de col men seivuan prisencolinensinainciusol ol rait»
Il grammelot, insomma, è una tradizione che vanta ben due millenni e mezzo di storia e di fortuna e ancora oggi, come accadeva per gli Ateniesi di V sec. a.C., ci troviamo a riderne, godendo della sua attualità e vivacità.
C.M.
NOTE:
[1] Aristofane, Commedie, trad. di A. Grilli, Milano 2007.