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L'ARTE DELL'AZIONE: PROGRAMMARE LA VITA CON CONSAPEVOLEZZA di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).

Da Csbmedia
Karman e morte: ognuno si trova a subire le conseguenze di azioni compiute in precedenza. Lei ha parlato di "programmazione" della vita: le chiedo qualche commento su questo tema.

L'ARTE DELL'AZIONE: PROGRAMMARE LA VITA CON CONSAPEVOLEZZA di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).
Programmare vuol dire agire con consapevolezza, farsi carico in modo responsabile di come "muoviamo" cose e persone intorno a noi. Possiamo farlo secondo tre dinamiche: col pensiero, con le parole e con le azioni. L'azione nasce dal desiderio (kama), si sviluppa nel verbo (vac) e si conclude generalmente nell'atto fisico (karman). Nei Testi Sacri di ritualistica karman sta solitamente ad indicare l'atto per eccellenza, quello sacrificale, l'azione che, se perfettamente eseguita, contiene già in sé il risultato desiderato. Quando invece l'agire è accompagnato da insufficiente consapevolezza, da bassa coscienza, il risultato può prodursi ugualmente ma distorto, imprevisto, non nella direzione desiderata, bensì, magari, in quella opposta. Per progettare il futuro si deve dunque conoscere molto bene la scienza dell'azione, che include la conoscenza delle reazioni. La dottrina del karman assicura a chi la segue il raggiungimento degli obiettivi desiderati; essa viene esposta in maniera accurata nei capitoli quarto e quinto della Bhagavad-gita. La vita incarnata condiziona l'essere a soffrire, ad invecchiare, ad ammalarsi, a morire e a nascere di nuovo. I saggi dell'antichità si sono dunque chiesti: "Ma qual è l'azione per eccellenza, capace di mondare dalle conseguenze che generalmente da essa derivano?". Questo agire perfetto è magnificamente rappresentato dall'atto compiuto per amore divino (bhakti). L'azione distaccata, motivata dall'amore per Dio, non è paragonabile a quella generata dall'amore mondano, che ha come caratteristiche la lussuria, la concupiscenza, l'instabilità, il desiderio intenso ed egoico di godere dell'effimero. Per amore generalmente s'intende quel sentimento che permette di provare piacere nel dar piacere ad altri, ma nella letteratura Vedica il termine bhakti si riferisce esclusivamente a Dio e al guru e consiste in un elevato e profondo sentimento di fede e devozione amorosa riposto in Loro in egual misura. A questo proposito nella Shvetashvatara Upanishad(1) leggiamo che la conoscenza spirituale viene rivelata alla grande anima che ripone la stessa suprema fede amorosa (parabhakti) in Dio e nel Maestro. L'arte dell'azione consiste dunque in un agire pieno ma distaccato dalle passioni mondane e, al livello più elevato di coscienza, ispirato da una sorta di innamoramento per Dio, per il Creatore, supremo Amico ed Amante. Qualcuno potrà chiamarLo Armonia universale, Coscienza, Bene, ma parliamo sempre della stessa Entità, che ha infiniti nomi, come Brahman, Paramatman, Bhagavan, Ishvara. Il Dio di grazia e misericordia, il Dio d'amore è Bhagavan, la Persona suprema. L'azione compiuta per dovere e tesa alla soddisfazione del Supremo non solo permette di riprogettare la vita in senso positivo e luminoso, ma fa sì che il suo autore non debba più rinascere nel mondo dell'esistenza condizionata. Chi considera il piano fisico come l'unico piano esistenziale ha timore di abbandonarlo, ma coloro che percepiscono dimensioni più elevate, non sono morbosamente avvinghiati al mondo materiale, non hanno un comportamento fobico quando intuiscono che debbono lasciarlo. Dunque i materialisti non si preoccupino: neanche volendo potrebbero lasciare l'universo fenomenico, infatti dovranno rimanere qui fino a che tutte le promesse non saranno state mantenute e tutti i debiti totalmente estinti; prima di allora nessuno potrà evadere dalla prigione del mondo sensibile. In condizione di pura follia i prigionieri a volte se la godono spensieratamente, ma i piaceri mondani hanno vita breve e finiscono immancabilmente per trasformarsi in sofferenza. Il corpo umano è un'opera d'arte, un gioiello, uno strumento di alto valore tecnologico, che potenzialmente permette di fare eccezionali esperienze cognitive; tuttavia è fragile e dura poco. Consapevoli di ciò le persone intelligenti si dedicano alla scienza della realizzazione spirituale e si trasferiscono su livelli di coscienza più sicuri prima che arrivi la tempesta, che si presenta, sempre puntuale, sotto forma di infermità, vecchiaia e morte. Qualcuno può sperare di evitare le malattie, più problematico è sfuggire alla vecchiaia, inevitabile è la morte. La mia sfida nei vostri confronti consiste nel riuscire a farvi rimettere in gioco, a stimolarvi, indurvi a riprogettare il vostro futuro, ma poi siete voi che dovete farlo; voi dovete pensare con la vostra testa ed agire in proprio; io posso darvi solo degli orientamenti. Di regola i bisogni fisici vengono soddisfatti facilmente. Le istanze psicologiche e intellettuali vanno invece risolte su piani più alti. Dove nascono i gusti, le tendenze, gli attaccamenti? Non sul piano fisico. Quando la persona se ne va dal corpo, quel corpo non ha più nessun attaccamento anzi, è già in corso la sua dissoluzione ad opera del tempo. Gli attaccamenti risiedono invece nella mente sotto forma di anartha(2). Nelle Upanishad viene più volte affermato che per nascere alla vita spirituale si deve morire a quella materiale e che questo morire per rinascere non comporta nessun dolore. Togliersi una vecchia benda che ormai non ha più niente a che fare con noi, non è doloroso. È quando le ferite sono ancora aperte, sanguinanti, purulente, che è penosa anche la più semplice delle operazioni. Con l'arma della Conoscenza, con la virtù del distacco e con una guida spirituale qualificata, lo scollamento della benda è perfino piacevole. La Bhagavad-gita(3) afferma infatti che la disciplina dello yoga si pratica con gioia e produce la più grande felicità (susukham).
(1) Shvetashvatara Upanishad VI.23.
(2) An-artha: ostacoli alla realizzazione degli scopi (artha). I principali sono la lussuria o la bramosia in senso lato (kama), la collera (krodha), la cupidigia (lobha), l'illusione (moha) e l'invidia (matsara).
(3) Bhagavad-gita IX.2.

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