Napoli non è certamente la città ideale, quella che un tempo è stata doce e bella eppure esiste una parte di questa città che ancora riflette e spera nel divenire, nella coscienza di chi non abbandona la passione, la creatività, l’opportunità limpida e nuova della speranza.
Come potrebbe sembrare possibile rappresentare la felicità correndo attraverso strade imbruttite dai cumuli di immondizia e dalla pioggia incessante di una Napoli cupa e in ginocchio? Desta stupore talvolta l’impossibile quando ci appare davanti con tutta la sua forza ed è quello che accade, in questo caso, percependo fino in fondo il coraggio de “L’arte della felicità”. Un lungometraggio che dal Festival di Venezia è giunto nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 21 Novembre facendosi spazio ed entrando nel vivo di problematiche legate non soltanto alla città partenopea ma anche all’incessante ricerca di un senso nuovo alla morte e, soprattutto, alla vita.
“L’arte della felicità” è un film d’animazione disegnato e realizzato da Alessandro Rak grazie alla collaborazione del produttore e sceneggiatore napoletano Luciano Stella.
La crisi di un uomo in un incessante incontrarsi e scontrarsi con la crisi di una città che sembra piegarsi su sé stessa. Sergio diventa rappresentante di una Napoli che soffre con lui, che non riesce a dargli alcun conforto.
Sergio è un lavoratore comune, un tassista con una forte passione per la musica che vaga disperato e perso per le vie della città confondendo e intrecciando continuamente la sua storia con i racconti dei clienti che entrano ed escono dalla sua auto. Pezzi di storie che si legano in un perpetuo rincorrersi e perdersi, comprendersi e deludersi a vicenda. Un continuo susseguirsi di immagini, fermate, ricordi, pensieri, verità e sentimenti che sembrano unirsi e al contempo scontrarsi con la pioggia, con quel cielo che piange sul taxi di Sergio che a sua volta scappa dal dolore per la morte del fratello, dalla vita che non ha avuto il coraggio di provare a vivere per paura di fallire.
Si percepisce in ogni scena una forte spiritualità, un’ inalterata e assidua ricerca del senso dell’essere, un continuo tendere la mano verso la speranza per poi ritirarla e tenderla ancora. Interpolazione persistente tra realismo e astrattismo, concretezza e idealizzazione, crisi che piega e speranza che rigenera. L’apocalisse di una città dannata che diviene simbolo di un Paese intero fino a scendere nel microcosmo umano che distrugge e ritrova insistentemente un senso nuovo che pareva aver dimenticato.
Risulta impossibile evitare l’immedesimazione in Sergio poiché ogni sua domanda diventa la domanda di ciascuno, la debolezza e insieme la forza di chi non smette di mettersi in discussione. Quello di Sergio è infatti un continuo confrontarsi con la sua memoria e con il suo passato che divengono protagonisti assoluti di una via spianata verso il futuro.
Un capolavoro artistico che lascia spazio alla speranza dando nuova possibilità alla passione e alla volontà di riscatto di un uomo e di una città.
Il cambiamento che può nascere solo da una lotta intima e profonda è protagonista indiscusso di una scena che, con poche risorse, riesce a creare forme artistiche di pensiero e realtà. Quadro struggente di una Napoli che sembra non contare ma che lascia spazio a nuovi spiragli di luce, che prova a riprendersi il suo valore e la sua dignità.
Del resto nel film si evidenzia chiaramente la volontà di riscatto, il desiderio di migliorare la propria coscienza e intima identità, di preservare il patrimonio culturale della propria città e il diritto inalienabile di difenderla.
“L’arte della felicità” è un continuo dialogo, una scommessa, un’ apertura che supera limiti e barriere, una provocazione sana che bisognerebbe accogliere senza riserve:
«Finchè i musicisti faranno i tassisti, finchè i poeti serviranno ai tavoli, finchè gli uomini migliori lavoreranno al soldo di quelli peggiori la nostra strada andrà diritta verso l’apocalisse».
Finchè resteremo indifferenti, nulla cambierà. Allora interroghiamoci di fronte alla poesia di un piccolo film che si è fatto strada lasciando segni di positivismo e universalità, la storia di uno che diviene quella di ciascuno, che oltrepassa confini e religioni, pregiudizi e sentenze. Un lungometraggio fatto di canzoni e poesia, nato dalla creatività di giovani napoletani che hanno avuto il coraggio di mettere in scena un piccolo capolavoro che vale la pena vedere e diffondere, apprezzare e comprendere fino in fondo.
Del resto non possiamo rimanere indifferenti di fronte a queste parole che, riprese dal film, sembrano regalarci un invito nuovo alla speranza e alla verità:
“Siamo qui, siamo ora, siamo quello che possiamo, siamo quello che ci riesce meglio”.
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