Caricata sulle spalle o appuntata al petto
(immeritatamente, avrebbe detto il Compagno,
immeritatamente), l’arte è comunque una croce;
le tracce sul Calvario o la maschera
esclusiva, l’arte è comunque una croce; la linfa
della volontà o la vanitosa rappresentazione,
l’arte è comunque una croce.
Le giovani iene, cogli occhi arrossati
di brama velleitaria, scrutano attentamente
la sua enigmatica essenzialità,
attendendo l’attimo da cogliere
per sbranare ogni brandello incustodito
dello spirito dilacerato del poeta.
Potreste forse gonfiare
l’ego a dismisura e misurare
i vostri ghirigori come peni adolescenti,
tenendo, s’intende, il basso profilo
della falsa modestia, ma non riuscirete
a confondere l’autentico col simpatico, davanti
all’occhio che guarda nel tempo sospeso.
Pletoriche retoriche stereotipe
espressioni, forgiate nel mediocre
gusto della superficie ed esaltate
dal consenso distratto, mentre
il sommerso substrato si fa violento
o pazzo. Urge dal ventre, ma si ripiega
nelle stanze depresse dell’interiorità,
mentre fuori impazza il carnevale
delle umane, troppo umane vanità.