L’inasprirsi delle condizioni di sicurezza internazionale nel corso dell’ultimo decennio e il crescente consumo mondiale di carburanti fossili hanno proiettato l’Asia centrale al centro degli equilibri geopolitici mondiali. L’Unione europea ha recentemente avviato delle politiche strutturate verso i paesi centroasiatici, volte a perseguire i propri crescenti interessi energetici e geopolitici. Ciononostante, la massiccia presenza di Russia e Cina, unita alla scarsa capacità dell’UE a delineare una politica estera unitaria, hanno messo in discussione le sue reali capacità di perseguire tali obiettivi nella regione, creando le condizioni per una possibile perdita di terreno di Bruxelles a favore di Mosca e Pechino.
La strategia europea in Asia centrale
Nel corso degli ultimi due decenni l’Asia centrale ha acquisito un’importanza crescente sulla scena mondiale. Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 – rinforzando gli interessi americani ed europei ad utilizzare la regione come barriera naturale contro la minaccia del terrorismo islamico – hanno infatti catapultato le cinque repubbliche ex-sovietiche nelle intricate dinamiche della politica internazionale. Inoltre, a partire dalla metà del decennio scorso, la crescita delle capacità estrattive centro-asiatiche ha reso l’area caspica uno dei punti nevralgici di produzione e trasporto mondiale degli idrocarburi, ponendola al centro degli interessi energetici delle maggiori potenze euroasiatiche quali Russia, Cina ed Unione europea.
Negli anni Novanta l’impegno europeo in favore dell’Asia centrale è avvenuto soprattutto grazie a due programmi: il TRACECA (Transport Corridor Europe Asia Caucasus) che si proponeva di ristabilire un corridoio di trasporto tra Asia ed Europa, e più recentemente il programma INOGATE (Interstate Oil and Gas Transport to Europe), sostanzialmente complementare al precedente ed orientato alla facilitazione del trasporto di idrocarburi tra Asia centrale, Caspio ed Europa1.
A questi importanti programmi è seguita nel 2007 la “EU and Central Asia: Strategy for a new Partnerships”, una strategia necessaria, secondo il ministro tedesco Steinmeier, anche da un punto di vista più strettamente geopolitico per sventare il pericolo di una monopolizzazione sino-russa della regione2. Il documento individua la necessità di una collaborazione tra Europa e Asia centrale in ambiti quali: gestione delle frontiere, immigrazione, lotta contro il crimine organizzato ed il terrorismo internazionale, nonché contro il traffico di esseri umani, di armi e droga3.
La complessa situazione politica in Asia centrale, caratterizzata da forme di governo lontane dai principi proposti dall’UE e ostili al cambiamento politico, ha fatto sì che in fase di pianificazione della Strategia europea si sviluppassero correnti di pensiero molto divergenti circa l’atteggiamento da adottare. Se da un lato molti Stati membri, tra i quali il Regno Unito, l’Irlanda, la Svezia e i Paesi Bassi hanno auspicato un approccio che ponesse l’accento su democratizzazione e diritti umani come principali linee guida nei rapporti dell’UE con l’Asia centrale, dall’altro alcuni analisti hanno temuto che una posizione troppo “moralista” dell’UE verso i paesi centro-asiatici potesse avere effetti controproducenti spingendo questi ultimi a cercare una cooperazione più stretta con gli altri attori coinvolti nella regione, molto meno esigenti dal punto di vista della pressione ideologica. La discrepanza dei due approcci, insieme all’incapacità da parte dell’UE di coinvolgere attivamente il mondo accademico e la società civile centroasiatica nell’attuazione della Strategia, ha reso l’azione europea piuttosto scoordinata4.
A distanza di qualche anno dall’inizio della Strategia, questi dilemmi sembrano essere tutt’altro che risolti. Nel 2010 il Joint (Commission and Council) Progress Report – una relazione sull’applicazione della Strategia – ha rilevato la necessità di apportare dei miglioramenti. Tra i maggiori problemi riscontrati, oltre ad uno scarso impegno economico dell’UE, vi è la sua perdurante incapacità a definire ed articolare in modo chiaro ed univoco i diversi interessi nella regione, al fine di trovare un compromesso tra un approccio normativo ed uno più realista ed attento agli interessi europei5.
Sebbene i temi della sicurezza siano divenuti sempre più pregnanti nel corso dell’ultimo decennio, nella strategia del 2007 è emerso come “le significative risorse energetiche dell’Asia centrale e la volontà della regione di diversificare i partner commerciali e le rotte di esportazione possano aiutare l’UE a soddisfare il suo fabbisogno di risorse energetiche”6. Proprio grazie all’esistenza di un interesse comune per la diversificazione energetica, Bruxelles ha definito le esportazioni di gas naturale dalla regione “di particolare interesse per l’Ue”, dichiarando la sua disponibilità a sostenere l’esplorazione di nuovi giacimenti di gas e petrolio, la modernizzazione delle infrastrutture esistenti e lo sviluppo di nuove rotte per l’esportazione di idrocarburi dall’Asia centrale7.
A ben guardare appare dunque evidente che il recente rinvigorimento dell’interesse dell’UE per le repubbliche dell’Asia centrale sia dovuto in larga misura alla crescente necessità di diversificare le sue fonti di approvvigionamento energetico. Dopo le crisi del gas tra Russia e Ucraina nel 2006 e 20098, l’UE ha infatti ritenuto di essere eccessivamente dipendente da un singolo fornitore, rafforzando la sua intenzione di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.9
Unione europea, Cina e Russia nello scacchiere centro-asiatico
La presenza di vasti giacimenti di gas naturale e petrolio in Asia centrale ha posto l’intera regione al centro di una competizione tra Europa, Russia e Cina per il controllo delle risorse energetiche, nella quale alcuni autori hanno visto una riproposizione del “Grande Gioco” di ottocentesca memoria10. Le tre potenze contendenti godono di posizioni molto differenti nella regione che meritano di essere analizzate attentamente.
In un periodo in cui il possesso di risorse energetiche, o il facile accesso ad esse, può notevolmente aumentare l’influenza di una nazione sulla scena internazionale11, l’Europa punta a ridurre il più possibile la sua enorme dipendenza energetica dalla Russia. Quest’ultima invece, riemersa recentemente come “superpotenza” grazie alle immense riserve energetiche e agli alti prezzi di gas e petrolio12, è intenzionata a mantenere il controllo che la sua storica presenza in Asia centrale le ha garantito sui gasdotti e gli oleodotti che Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan utilizzano per esportare le proprie risorse13. È per questo motivo che, conscia dell’importanza che il Turkmenistan riveste per la realizzazione del Corridoio energetico europeo – che dovrebbe importare gas naturale dalla zone caspica in Europa – nel 2007 la Russia ha raggiunto un accordo con Ashgabat per l’ammodernamento del “Central Asia – Centre gas pipeline” necessario al trasporto del gas turkmeno attraverso Uzbekistan e Kazakistan fino alla Russia14. Ancora nell’autunno dello stesso anno, a seguito di un’intesa tra Cina e Turkmenistan per la costruzione di un gasdotto, il gigante russo dell’energia Gazprom ha offerto ad Ashgabat un prezzo quasi doppio di quello pagato fino ad allora per il suo gas. Una mossa, quest’ultima, che il diplomatico indiano M. K. Bhadrakumar ha definito “una grande strategia del Cremlino”, poco sensata economicamente ma lungimirante dal punto di vista geopolitico15.
Per quanto riguarda la Cina, il recente piano del governo di incrementare gli investimenti nel gas16 e la sua volontà di ridurre la quantità di importazioni che transitano attraverso gli stretti di Hormuz e Malacca17 ha fatto si che Pechino divenisse, grazie anche dalla contiguità territoriale con gli Stati centro-asiatici, uno dei maggiori investitori nella regione. L’accordo per la costruzione del “Central Asia – China gas pipeline”, siglato nel 2007, ha portato alla realizzazione, in meno di due anni e mezzo, di un’arteria lunga più di 1800 chilometri per il trasporto del gas dal Turkmenistan orientale alla regione cinese dello Xinjiang, passando per Kazakhstan ed Uzbekistan. Il progetto, inizialmente giudicato utopico da molti, ha rappresentato la fine del monopolio russo sull’esportazione del gas centroasiatico18.
A differenza della Cina, che per la sola costruzione del gasdotto summenzionato ha investito 11 miliardi di euro, l’UE si presenta nella regione come un attore dalle capacità molto più limitate. Ciò dipende da molteplici fattori, come ad esempio: il modesto ammontare dei fondi stanziati, l’incapacità di condurre una politica estera unitaria, ma anche dal fatto che le velleità europee di “esportare valori democratici” vengono probabilmente percepite nella regione come un atteggiamento opportunista, dai toni neo-coloniali e moraleggianti. Specialmente nella sfera energetica, tutto ciò limita la capacità europea ad agire come influente lobby di consumo nella regione caspica e quindi assicurarsi l’approvvigionamento delle risorse energetiche locali19.
A queste divisioni interne che hanno ridotto le possibilità di realizzazione del gasdotto Nabucco, principale progetto europeo di diversificazione energetica, si aggiungono i tentativi russi di bloccare legalmente la costruzione del gasdotto transcaspico, componente essenziale del Corridoio energetico meridionale che trasporterebbe il gas turkmeno in Azerbaigian e da qui in Europa attraverso il Nabucco20. Sebbene i notevoli sforzi diplomatici avutisi nel 2011 e la chiara disponibilità del Turkmenistan a contribuire al gasdotto transcaspico abbiano restituito nuova speranza alla diversificazione energetica europea, l’attuale inasprirsi della crisi economica all’interno dell’Ue rischia di avere effetti ulteriormente dannosi per lo sviluppo di rapporti energetici stabili tra Europa e Asia centrale.
Mentre la Russia cerca con affanno di ostacolare la diversificazione delle rotte di esportazione dall’Asia centrale, la Cina continua indisturbata a firmare accordi energetici con il Turkmenistan. Nel dicembre 2011 il presidente turkmeno Berdimuhamedov ed il cinese Hu Jintao hanno raggiunto un’intesa per l’aumento del volume delle esportazioni turkmene verso la Cina. Una mossa con la quale, secondo fonti diplomatiche cinesi, Pechino intenderebbe impedire la realizzazione del gasdotto transcaspico europeo, scongiurando così un probabile aumento del prezzo del gas turkmeno21.
Se da un lato la Cina riesce ad esercitare una crescente influenza economica e politica in Asia centrale, soprattutto grazie agli ingenti investimenti e ad una politica di non interferenza nelle questioni interne dei vicini22, dall’altro l’Europa, attanagliata dall’attuale crisi economica, è impossibilitata ad esercitare un’azione diplomatica sufficientemente incisiva da poter difendere i suoi interessi energetici nella regione23. In questo quadro, l’UE sembra perdere terreno in Asia centrale a favore non solo della Cina, ma anche della Russia, soprattutto a causa dell’incapacità di Bruxelles e Mosca di trovare un accordo di cooperazione energetica. Infatti, secondo alcuni analisti, il gasdotto europeo Nabucco e il suo contendente russo South Stream – per il quale Gazprom ha previsto un tragitto quasi parallelo grazie all’appoggio della Turchia – invece di fronteggiarsi potrebbero essere incorporati e realizzati comunemente con un risparmio economico notevole ed una maggiore capacità di trasporto24. Una simile soluzione potrebbe offrire agli esportatori centroasiatici garanzie sulla stabilità della domanda energetica occidentale, frenando così la loro proiezione verso l’Oriente.
Il tentativo di instaurare una base giuridica per regolare la cooperazione energetica tre UE e Russia è però finora fallito. Nel 2000, prendendo atto della loro crescente interdipendenza energetica e riconoscendosi come elementi costitutivi della stessa area geopolitica, i due Paesi avevano inaugurato il “Dialogo energetico Russia-UE”. Con esso l’UE mirava a far sì che la Russia ratificasse il trattato sulla carta dell’energia (Energy Charter Treaty) – che il Cremlino non ha mai ratificato per timore di perdere il controllo sulle rotte di esportazione – mentre la Russia cercava investimenti europei per l’ammodernamento delle infrastrutture energetiche. La graduale nazionalizzazione25 delle risorse energetiche avvenuta sotto la presidenza di Putin e il tentativo europeo di introdurre clausole giudicate sfavorevoli dai Russi hanno però creato una situazione di stallo nel Dialogo che tuttora permane.26
Oltre a rapporti più collaborativi con la Russia, accordi di cooperazione se non addirittura di “spartizione” energetica in Asia centrale sarebbero auspicabili tra Unione europea e Cina. Secondo alcune stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) infatti, i settori energetici delle Repubbliche del Turkmenistan e del Kazakhstan, insieme con l’Azerbaigian, sarebbero in grado di produrre in un prossimo futuro quantità di gas naturale capaci di coprire gran parte del fabbisogno combinato di Europa e Cina, migliorando la sicurezza energetica di entrambi i paesi27. Tuttavia, l’aumento vertiginoso dei consumi energetici cinesi ha fatto sì che il governo di Pechino ritenesse la sicurezza energetica nazionale troppo importante per poter essere lasciata in balia delle forze di mercato. Ciò ha portato la Cina ad assumere un atteggiamento tendenzialmente assertivo in ambito energetico28, con pesanti investimenti nei paesi centroasiatici, che hanno ridotto la proiezione strategica della Russia nella regione. Nonostante l’esistenza di un meccanismo di dialogo tra Russia e Cina, come l’Accordo di Cooperazione di Shanghai, consenta una cooperazione nell’ambito della lotta al terrorismo, del commercio e della cooperazione militare, i rapporti energetici tra i due paesi restano ancora ampiamente al di sotto delle loro reali potenzialità.29
Nell’odierno confronto in Asia centrale l’Unione Europea si trova quindi a fronteggiare un’influenza russa sempre più decisa ed un crescente aumento della visibilità della Cina nella partita energetica. In tale contesto, la difficoltà a stabilire una cooperazione energetica regolata da norme internazionali e la necessità di controbilanciare i potenti settori energetici russo e cinese renderebbe necessario un atteggiamento più unitario e deciso da parte dell’UE. Allo stesso tempo però, data l’enorme importanza della Russia quale fornitore energetico per l’Europa, sarebbe saggio da parte di quest’ultima cercare un dialogo maggiore con Mosca, soprattutto per scongiurare che una eventuale intensificazione dei legami energetici fra Russia e Cina possano privare Bruxelles di importanti risorse energetiche per il prossimo futuro.