La riforma previdenziale Fornero è stata introdotta nel decreto “Salva Italia” e convertito in legge nel dicembre del 2011, l’obiettivo principale era sostanzialmente il risparmio, il contenimento di spese superflue o eccessive per un Paese alle strette.
La Fornero si basava sull’introduzione definitiva della pensione di vecchiaia e del metodo contributivo di calcolo, portando a 66 anni il limite per il pensionamento di vecchiaia che aumenta 67 dal 2021. L’età pensionabile delle donne è stata aumentata a 66 da raggiungere nel 2018. Dal 2019 il criterio della pensione di vecchiaia verrà adeguato, giustamente, alle aspettative di vita con cadenza biennale. Inoltre, abolisce il sistema delle quote (la somma di età anagrafica e anni di versamenti contributivi) che era stato introdotto dal governo Prodi. La riforma Fornero ha inoltre aumentato in modo significativo i requisiti contributivi, 42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne, per accedere alla pensione anticipata, introducendo penalizzazioni economiche per chi accede alla quiescenza lavorativa prima dei 62 anni. I risparmi stimati dall’operato della Fornero ammontavano a 2,5 miliardi per il bilancio 2012, e crescevano fino a 81 entro il 2020.
Nei giorni scorsi la Camera dei Deputati aveva approvato, per quanto riguarda la P.A., due percorsi di prepensionamento per i lavoratori pubblici:
-La “staffetta generazionale” favorita dal pensionamento automatico per chi ha raggiunto i requisiti contributivi pieni;
-Il pensionamento anticipato degli insegnanti di “Quota 96″. Questo nome è tutto un programma. Questo nome indica i docenti che avevano maturato i requisiti per la pensione entro la fine del 2010 ma che, paradossalmente, a causa di un effettivo errore di calcolo e di una non corrispondenza tra calendario solare e scolastico, sono rimasti sospesi, come in stallo, ed è stata loro negata la quiescenza.
Il governo ha stralciato questi emendamenti dal decreto che è stato convertito al Senato con il voto di fiducia prima di tornare a Montecitorio per il voto definitivo. Il decreto di riforma della PA del ministro Madia rappresenta il settimo intervento di correzione della riforma Fornero, il primo a disciplinare una situazione diversa da quella dei cosiddetti “esodati”, i protagonisti del limbo del lavoro.
Citando Giornalettismo, gli “esodati” sono “lavoratori che, usciti dal mercato del lavoro duranti gli accordi di ristrutturazione aziendale con un percorso di accompagnamento verso la pensione garantito dagli ammortizzatori sociali, si sono ritrovati senza sussidi al reddito e senza assegno previdenziale alla luce della soppressione della pensione di anzianità e l’innalzamento dei requisiti per la quiescenza”.
Ad oggi, il concetto di “esodati” è diventato sempre più evanescente. Il caso di “Quota 96″ ne è un esempio, visto che questi 4 mila insegnanti, sono stati penalizzati dalla riforma previdenziale del 2011, anche se, rispetto agli “esodati”, che erano senza occupazione prima dell’intervento del governo Monti, essi avevano ed hanno tutt’ora un posto di lavoro.
L’ultimo provvedimento approvato dal Parlamento ha salvaguardato gli “esodati” che avrebbero maturato i requisiti per la pensione nel 2016. Il Sole 24 Ore: “Il dramma di questi interventi a pioggia è che, nel loro succedersi continuo, non lasciano neppure spazio per un monitoraggio ex post, giusto per capire se le stime di costo aggiuntivo e le platee ogni volta disegnate sono stati poi confermati. Il risultato è un’incertezza crescente sulla tenuta della riforma nel suo complesso, con le ovvie conseguenze sui saldi di finanza pubblica. La riforma Fornero garantirebbe sulla carta risparmi per 81 miliardi da qui al 2021, ma a furia di colpi di lima riuscirà davvero a centrare l’obiettivo?”
Tutti contro la riforma Fornero, a prescindere dallo schieramento politico:
-La Lega Nord ha fatto campagna elettorale alle europee, raccogliendo le firme per un referendum per l’abrogazione della riforma previdenziale.
-La Corte dei Conti ha contestato in primo grado la costituzionalità del provvedimento che bloccava la perequazione automatica delle pensioni dall’importo più alto.
-In Parlamento addirittura si è arrivati a stravolgere con proposte di legge l’intero assetto “forneriano”, come con quella firmata dal presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano.
-I Pd, come detto dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti al Messaggero, pensa ad un intervento strutturale di modifica della riforma previdenziale che riguardi circa 400 mila persone.
Il nostro paese spende il 16,3% del Pil per le pensioni di vecchiaia e i dati Ocse (2010) parlavano chiari: l’Italia la nazione industrializzata ad avere il sistema pensionistico più costoso in base al Prodotto interno lordo, un profondo squilibrio determina la bassa spesa in assistenza sociale rispetto alla media europea, visto che in Italia si spende relativamente poco per il contrasto alla disoccupazione o alla povertà ed è evidente come, in un bilancio pubblico, vincolato dall’elevata quota destinata al servizio del debito, pari a circa il 10% della spesa complessiva, una così ingente percentuale destinata alla previdenza costituisce un serio ostacolo ad un diverso utilizzo delle risorse fiscali.
Regolare e rendere più genuino e semplice questo tipo di procedure, farle diventare un chiaro specchio del progresso e dell’iniziativa non è solo una faccenda che riguarda ed interessa il cittadino. O almeno non dovrebbe. Le persone in età matura costituiscono la fascia elettorale più importante del nostro paese dal punto di vista della consistenza numerica, in quanto il livello d’anzianità è molto elevato, ed è noto (com’è anche riscontrabile dalle ultime elezioni europee) come la maggior parte dei votanti siano gli adulti, mentre i neo-maggiorenni tendono ancora a snobbare la politica sotto una chiave di partecipazione più o meno diretta. La classe politica dovrebbe avere, quindi, presente che senza una riduzione della spesa previdenziale difficilmente si potranno realizzare quasi tutte tra le promesse elettorali diffuse in questi anni e soprattutto, diventa sempre più flebile e in special modo la convinzione data dalla forza dell’appoggio popolare.