Riceviamo e pubblichiamo questo brano di Valentina Fornelli (aka Adrianaaaa) che ringraziamo. Buona lettura!
Copertina
Il 31 ottobre di 86 anni fa Anteo Zamboni veniva assassinato. Su questo ragazzino morto a Bologna nei primi anni del fascismo si sa molto poco. Si sa come è morto, ma non si sa perché. Si sa moltissimo di suo padre, delle sue conoscenze potenti, della Bologna di allora e si sa qualcosa persino sugli intrighi più neri nel nero dei battibecchi familiari tra il fascismo agrario padano – tutto muscoli e omicidi – e quello “normalizzatore” delle istituzioni. Ma di lui non si sa quasi nulla.
Nel bellissimo saggio Attentato al Duce[1], Brunella Dalla Casa, dell’ISREBO, ricostruisce quanto avvenuto attorno e durante l’attentato per cui Anteo è stato incolpato e istantaneamente ucciso, fornendo anche interessanti ipotesi sulla vera matrice di quell’evento e sul braccio che effettivamente sparò. Ipotesi che cercano di rendere giustizia a una vita stroncata a 15 anni, la vita di un adolescente che non era neanche ancora un ragazzo, che nel giorno della sua morte andò alla parata a vedere il Duce con le spille arrugginite di una vecchia squadra di calcio, trovate nel giardino di casa, appuntate sulla camicia nera da balilla.
A quattro anni dalla Marcia su Roma Mussolini aveva deciso di celebrare l’anniversario di un evento tanto importante a Bologna, uno dei luoghi che meglio rappresentavano la sconfitta delle lotte operaie e bracciantili da parte del fascismo e città del quasi podestà Arpinati (venne nominato un paio di mesi dopo), esempio dello squadrismo che sapeva farsi istituzione. I festeggiamenti avvennero in una città passata al pettine della repressione, in cui si era provveduto a incarcerare preventivamente tutti coloro che erano ritenuti in odore di antifascismo. Circa duemila persone. Il Duce aveva seguito un rigido programma di inaugurazioni, ricevimenti, cene, sfilate a cavallo e la sera di quel 31 ottobre si avviava verso la stazione, tra due ali di folla che lo ammiravano mentre imboccava via Indipendenza sull’auto scoperta.
Nell’arco dei 12 mesi precedenti, Mussolini era sopravvissuto a quattro attentati. Erano oltre 3000 i miliziani mobilitati in città per presiedere ad ogni sua apparizione, insieme a migliaia di uomini tra soldati, carabinieri e membri del servizio d’ordine del partito. In quei giorni, gli squadristi portavano in giro per Bologna un manichino impiccato sovrastato dai nomi dei tre attentatori e dell’attentatrice che fino ad allora avevano cercato di uccidere il Duce: Zaniboni, Cappello, Gibson, Lucetti. Le voci che parlavano di un nuovo attentato in preparazione in città erano infatti molte.
Per colpa di uno sparo
All’angolo di via Rizzoli, mentre l’auto rallenta, un colpo di pistola attraversa il bavero della giacca del Duce, scava la stoffa della fascia che porta al petto e fa entrare la luce nel cilindro del sindaco Puppini, al suo fianco sul sedile. Mussolini è voltato nella direzione da cui arriva il colpo e vede distintamente il suo attentatore, che ha superato il cordone di sicurezza che tiene a distanza la folla. Lo descriverà come un uomo ben diverso da Zamboni, il quale invece, in pochi secondi, viene afferrato e accoltellato dagli squadristi per poi essere lasciato già morto in pasto alla folla, che gli rompe i denti, lo morde, lo colpisce, lo strangola.
Nei giorni seguenti, Pio XI dichiara che è ormai evidente la protezione accordata da Dio al Duce. Decine di messe, celebrate da vescovi e cardinali, risuonano nelle basiliche per ringraziare l’Onnipotente della grazia concessa a Mussolini. Neanche una parola viene spesa per Anteo. Di lui, in effetti, quasi nulla giunge al pubblico. La pubblicazione di tutti i giornali di opposizione viene sospesa. Non si deve sapere nulla delle rappresaglie che i fascisti stanno compiendo in tutto il paese e che vanno avanti per giorni fino a quando non è Mussolini stesso a fermare il pogrom. Per difendersi da una di quelle rappresaglie, Emilio Lussu uccide un fascista e verrà condannato al confino a Lipari, da cui poi fuggirà.
Vengono sospesi tutti i passaporti e sono sciolti tutti i partiti, le associazioni e le organizzazioni che si oppongono al fascismo. Viene istituito il Tribunale per la Difesa dello Stato, che applica il codice militare di guerra. È dichiarato decaduto il mandato di tutti i deputati aventiniani, compresi quelli che, come i comunisti, erano ritornati in Parlamento. Gramsci è arrestato.
Anteo
Una delle poche foto di Anteo Zamboni in vita, a circa sette anni
Nel frattempo a Bologna tutta la famiglia di Anteo fino al secondo grado di parentela viene messa in carcere. Il padre è un ex anarchico da tempo convertito al fascismo, che ha fatto lo stesso percorso di Arpinati e che per questo lo conosce bene. È convinto di poter essere scagionato in tempi brevi insieme a tutta la sua famiglia grazie all’intervento dell’amico potente. Ma non si può pensare che ad attentare alla vita del Duce sia stato un ragazzino di 15 anni, peraltro, a sentire chi lo conosce, nemmeno molto sveglio. Si da la colpa alla famiglia, nonostante non ci sia alcuna prova di un suo coinvolgimento e un magistrato provi anche a farlo notare. Il padre e la zia di Anteo vengono condannati a 30 anni di prigione. La giustizia fascista si accanisce particolarmente contro Virginia, la zia, che poteva vantare un passato politico assai meno compromettente di quello del padre ma che era una donna nubile, forte, oggetto di maldicenze di ogni genere.
È un nemico troppo bambino Anteo. Non abbastanza da essere risparmiato dai pugnali, ma troppo per attribuirgli per intero la grandezza di un gesto omicida nei confronti del Duce. Non vengono nemmeno rese pubbliche le sue fotografie, per non mostrare, accanto agli elogi della giustizia sommaria e della repressione politica, un volto che ancora non accenna all’età adulta.
Le indagini condussero a stabilire la presenza, sul luogo dell’attentato, dell’ardito lombardo Albino Volpi, fascista particolarmente sanguinario che fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Matteotti. Molte testimonianze sostenevano che fosse stato proprio lui a pugnalare per primo Zamboni, per poi defilarsi. Si iniziò a parlare esplicitamente di complotto interno al fascismo, un complotto che faceva capo a Farinacci, che aveva come braccia gli arditi milanesi e come capro espiatorio Anteo, non si sa se coinvolto per puro caso o se invece convinto a partecipare. Le indagini furono bloccate direttamente dal vertice dello stato. Del resto, il regime aveva avuto enormi vantaggi dall’attentato ed era giunta l’ora di fare la pace con quei camerati turbolenti che in fondo nessun danno avevano fatto al fascismo, ma solo bene.
In occasione del decimo anniversario della Marcia su Roma, Virginia e Mammolo chiesero la grazia e questa volta Arpinati prese le loro difese, riuscendo a convincere Mussolini. Subito la famiglia Zamboni iniziò ad adoperarsi per dare ad Anteo una sepoltura che finalmente ne riabilitasse la memoria. Fino ad allora infatti il corpo del ragazzo era rimasto in un terreno sconsacrato fuori dalle mura della Certosa di Bologna. Ma si dovette attendere la liberazione perché fosse deciso di spostare i suoi resti. E con essi si spostò anche la memoria. Anteo non era più la vittima innocente che i familiari avevano sempre descritto, ma divenne un partigiano, il primo partigiano di Bologna, membro di quella che Togliatti definì la “Resistenza silenziosa”. Così è ricordato sulla targa che si trova affissa su Palazzo d’Accursio.
Ben pochi furono, tuttavia, coloro che furono disposti ad accogliere tra le loro fila la figura ambigua di Anteo, anche fra gli anarchici. Tra gli antifascisti prevalse sempre l’idea di un ragazzo trovatosi in mezzo a giochi troppo grandi, spazzato via con pochi colpi di coltello in nome di necessità maggiori, legate o alle ragioni del regime (in caso si sostenga l’ipotesi di un falso attentato, architettato per mettere finalmente al bando l’opposizione) o a quelle di una sua dissidenza interna (e in questo caso l’attentato è vero). Solo in tempi più recenti si è iniziato a concepire la possibilità di un giovane uomo pienamente padrone del suo gesto, compiuto in fedeltà a un ideale politico o al contrario in ribellione contro la famiglia e alla ricerca di un’affermazione di sé.
Di certo c’è il fatto che di Anteo Zamboni, assassinato ancora bambino dai fascisti, non rimangono parole, né quasi ricordi. Niente oltre a qualche quaderno di scuola e a una manciata di fotografie, la molte delle quali lo ritraggono già morto. E che qualunque parola verrà detta su di lui, non sarà mai sua.
Note (↵ returns to text)- Brunella Dalla Casa, Attentato al duce: le molte storie del caso Zamboni, Bologna: Il Mulino, 2000↵
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