La Signora Angela Merkel, all'accusa di violare i limiti di surplus commerciale concordato cogli altri paesi della UE, propone una soluzione che fa esplodere l'ilarità del normalmente serio premio Nobel Paul Krugman.... Ma non è certo che la Cancelliera di Legno abbia afferrato l'ironia...
Solo l'asse latino potrà salvarci (di Massimo Riva - l'Espresso)
La Commissione europea si è finalmente decisa a mettere sotto accusa la Germania per il suo accumulo di surplus commerciali esorbitanti. Purtroppo, non è un bel vedere che l'iniziativa arrivi seconda nel tempo dopo un'analoga denuncia da parte del governo americano che ha apertamente imputato a quello di Berlino di perseguire una strategia economica destabilizzante per i mercati internazionali.
Il fatto che a Bruxelles abbiano scelto di muoversi soltanto a rimorchio dell'attacco partito da Washington ridimensiona alquanto le speranze che la Commissione trovi anche il coraggio di emanciparsi dalla latente sudditanza politica di cui soffre nei confronti della Germania e porti fino in fondo la conseguente procedura d'infrazione contro Berlino. Tanto più perché le prime repliche del governo tedesco a queste accuse mostrano una pervicace volontà di proseguire sulla strada intrapresa. Vero è che al momento sono in corso serrate trattative fra Cdu/Csu e Spd per la formazione di un nuovo gabinetto Merkel che i socialdemocratici vorrebbero più orientato a una strategia economica di espansione della domanda interna ed europea, ma le posizioni del partito della Cancelliera uscente ed entrante non paiono granché discostarsi dalle rigidità del recente passato.
AI RILIEVI SUGLI EFFETTI negativi generali provocati dai propri surplus commerciali l'attuale ministro dell'Economia ha replicato, in sostanza, invitando gli altri paesi a fare come la Germania in materia di esportazioni senza nemmeno rendersi conto di cadere in una trappola dialettica clamorosa. Perché come gli ha fatto sarcasticamente notare uno dei più autorevoli critici della politica tedesca, il premio Nobel Paul Krugman, «l'idea di un mondo in cui tutti sono in forte attivo della bilancia commerciale presenta qualche falla logica».
Il problema cruciale, a questo punto, non è più tanto quello di trovare argomenti per denunciare l'ottusità della linea economica che Berlino impone all'Europa: ce ne sono ormai a iosa e il citato Krugman, per esempio, ne offre di nuovi ogni settimana. Ciò che oggi occorre è un'azione politica forte e congiunta delle altre tre maggiori economie dell'eurozona (Francia, Italia e Spagna) mirata ad aprire un contenzioso politico formale con la Germania, così incoraggiando anche la Commissione di Bruxelles a uscire dal complesso d'inferiorità che segna ogni sua iniziativa quando si tratti di contrastare gli interessi di Berlino. Certo, non è impresa facile far muovere all'unisono Parigi con Roma e Madrid: la tentazione soprattutto francese di ricavare qualche regalia in più in un rapporto bilaterale con i tedeschi è ancora radicata. Resta, però, il dato di fatto che soltanto una pressione a tre - via Bruxelles - può avere qualche probabilità di successo nel far cambiare rotta alla Germania.
IN PROPOSITO, almeno a prima vista, si può riconoscere che il nostro presidente del Consiglio qualcosa fa o, meglio, dice. Enrico Letta è andato al congresso della Spd a Lipsia per proclamare che «di austerità si può anche morire», soggiungendo che sulla strada attuale del rigore "über alles" le prossime elezioni del parlamento europeo potrebbero portare a Strasburgo compatti manipoli di partiti ferocemente contrari all'Unione europea. Giusto, giustissimo, ma si tratta soltanto di belle parole. Quanto alle iniziative politiche concrete per una svolta economica in Europa il nostro premier rinvia al momento in cui l'Italia avrà la presidenza del consiglio europeo nel secondo semestre dell'anno prossimo. E questo è sbagliato, sbagliatissimo: si tratta di agire "hic et nunc" come si diceva una volta. Sopratutto perché - posto pure che la guida italiana dell'Europa produca i cambiamenti attesi - gli effetti economici delle novità comincerebbero a manifestarsi non prima del 2015 e si dispiegherebbero in termini di vita sociale soltanto nel 2016. Troppo tardi sia per rispondere al malessere di decine di milioni di europei sia per arginare la montante marea populista contro l'euro e l'Unione.
Massimo Riva