Assolto con formula piena don Gino Temporin, 67 anni, ex rettore del seminario minore di Rubano, accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti di un ex studente dell’istituto e di averlo fatto giurare su una Madonnina di legno di non dire niente.
“Il fatto non sussiste” ha accertato il tribunale di Padova, l’accusatore è un ventiduenne della provincia di Venezia che si è inventato le accuse infamanti all’ex rettore del seminario dopo essersi confidato, nel 2009, con una psicologa della clinica “Le betulle” di Como dov’era ricoverato. A don Gino è stato restituito dunque l’onore di quarant’anni di sacerdozio dedicati all’assistenza, all’educazione e all’insegnamento. Sono tantissimi i sacerdoti assolti dalle accuse piovute addosso tra il 2010 e il 2011 ed è difficile stare dietro a tutte le notizie: don Martin Steiner, padre John Geogha, James Patrick Jennings, e il reverendo Charles Murphy, don Giorgio Govoni (nel frattempo morto di infarto a causa delle accuse); mons. Zollitsch ecc. I quotidiani, nel caso di don Gino, si sono comportati stranamente in modo corretto: quei giornali (pochi per la verità) che avevano dato la notizia dell’apertura delle indagini su don Gino hanno poi pubblicato un articolo con la sua assoluzione.
Non così eticamente è stato quando la Corte distrettuale del Wisconsin ha definitivamente chiuso il cosiddetto “caso più emblematico di insabbiamento” da parte della Chiesa cattolica, ovvero il “caso Murphy”, in cui sono stati voluti coinvolgere Benedetto XVI, i cardinali Tarcisio Bertone e Angelo Sodano. “Il Fatto Quotidiano” attraverso il vaticanista Marco Politi ha usato fiumi di inchiostro per accusare Ratzinger di insabbiamenti. Eppure quando è emersa la notizia del ritiro di tutte le accuse («perché sapevano che avrebbero perso se avessero continuato a perseguire il caso e non volevano una pronuncia negativa da parte del giudice», ha spiegato l’avvocato della Santa Sede, Jeffrey S. Lena) né “Il Fatto”, né il vaticanista Politi hanno voluto parlarne, nemmeno un accenno, al contrario degli altri quotidiani e vaticanisti. Lo stesso per quanto riguarda anche l’ultima causa intentata contro la Santa Seda per casi di pedofilia negli Stati Uniti, riguardante Andrew Ronan, la quale è stata archiviata. Anche in questo caso Marco Politi nel 2010 condannava la Santa Sede a causa dei «trasferimenti omertosi del prete-predatore Andrew Ronan», ma poi non ha voluto informare sul fatto che la giustizia americana ha accertato la non colpevolezza del Vaticano. Proprio lo stesso vaticanista che qualche tempo dopo firmava un articolo sull’etica giornalistica e il dovere di informare correttamente i lettori. «C’è anche spazio per l’errore umano, e allora il giornalista rettifica», scriveva. Ancora si attende la rettifica delle sue accuse all’odiato Ratzinger.
La pedofilia è una scusa, l’obiettivo mediatico è colpire la Chiesa. Se davvero l’attenzione fosse sulla tutela dell’infanzia e la persecuzione di quell’orrendo crimine qual è la pedofilia, “Il Fatto Quotidiano” non elogerebbe Roman Polansky, arrestato per lo stupro di una ragazzina di tredici anni e non avrebbe come collaboratore e articolista Aldo Busi, autore di dichiarazioni definite dall’Osservatorio per i Minori “pro-pedofilia” e, secondo “Repubblica”, “legittimatore dei pedofili”. Nel dibattito sui preti pedofili c’è un compiacimento anticattolico e anticlericale che tende a censurare le notizie, gonfiare i dati e ignorare le precisazioni del “Telefono Azzurro”: «Passa l’idea, nell’opinione pubblica, che si tratti di un fenomeno circoscritto a determinati ambiti che di volta in volta finiscono alla ribalta della cronaca (come la scuola o la Chiesa), o specifiche realtà di degrado sociale; mentre i dati ci dicono chiaramente che si tratta di un fenomeno pervasivo, che purtroppo è presente in tutti i contesti nei quali siano presenti bambini». Nell’80% i casi di pedofilia, ad esempio, avvengono ad opera di un parente non celibe: genitori, convivente, nonni o zii.
La redazione