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L'atomismo nel xvi e xvii secolo: i "minima naturalia"

Da Leonardo Petrillo @92sciencemusic
In questo post andremo a scoprire una teoria atomica antica e davvero poco conosciuta: quella dei "minima naturalia".
Il concetto di atomo, introdotto da Leucippo e Democrito, portato poi avanti da Epicuro e Lucrezio, venne totalmente ignorato nel corso del Medioevo.
In effetti, l'idea dell'atomo venne oscurata dalla teoria aristotelica della continuità della materia.
Per Aristotele (384 o 383 a.C. - 322 a.C.) una sostanza poteva essere infatti suddivisa all'infinito in particelle sempre più piccole e identiche fra loro.
Dunque Aristotele rigettava l'idea che la natura si basasse su un qualcosa di indivisibile come l'atomo congetturato dai suoi colleghi Leucippo e Democrito.
Aristotele giustificava la sua idea di continuità della materia sostenendo la non esistenza del vuoto (il cosiddetto horror vacui).
Per il filosofo l'essenza delle cose era data dal movimento: ogni corpo si muoveva perché, attraverso una spinta, veniva messo in moto da un altro corpo, il quale, a sua volta, subiva una spinta da un terzo corpo e così via, sino ad arrivare al primo motore o motore immobile o atto perfetto (entelécheia), rappresentato da Dio.
Dio, nella concezione aristotelica, era la sostanza immutabile ed eterna, il principio supremo dell'universo, il culmine logico su cui affondava le sue radici la macchina cosmica elaborata dal filosofo, e la spiegazione ultima del movimento e del cambiamento.
Un Dio non rappresentabile come una "persona" o un "ente assoluto" che ama il mondo e che con la propria volontà provvede a regolarlo secondo un piano provvidenziale.
Il Dio di Aristotele si discostava quindi da quello delle religioni monoteiste.
Esso era semplicemente il perno essenziale dell'architettura cosmologica aristotelica, una vera e propria chiave di volta, senza la quale l'intero sistema collasserebbe.

Siccome l'essenza delle cose, per il filosofo, era data dal movimento, a sua volta dovuto al primo motore, Aristotele non riusciva a concepire dentro questo sistema la presenza del vuoto.
Sosteneva infatti che la velocità di un corpo variasse con il peso e dipendesse dalla resistenza del mezzo in cui si muoveva; ciò implicava che un corpo, nel vuoto, avrebbe avuto velocità infinita, indipendentemente dal suo peso, fenomeno contrario a quanto mostrava l'esperienza.
Se il vuoto non esisteva, allora la materia doveva essere continua, fatto che portava a concludere che gli atomi non potevano esistere, visto che tra 2 atomi ci sarebbe dovuto essere il vuoto a delimitarli.
La materia risultava dunque divisibile all'infinito, proprio perché era impossibile arrivare a porzioni di materia non più divisibili.
La divisione portava tuttavia a particelle di materia sempre più piccole fino a quando, se ulteriormente divise, perdevano le proprietà della sostanza originaria e non erano più parte di essa.
Le "qualità", ossia le caratteristiche fisiche di un composto chimico, dipendevano pertanto dalla sua "estensione".
Queste idee erano state un punto di riferimento filosofico fino all'inizio del XVI secolo.
Infatti, in cotal secolo si verificò una "battaglia filosofica", che persistette per ben 2 secoli, tra 2 differenti visioni dell'atomismo:
1) una di tipo meccanico (di cui fu promotore nientemeno che Cartesio), ereditata dall'antica filosofia degli empiristi greci;
2) l'altra ispirata alla concezione aristotelica della continuità della materia.
La vera vincitrice di tale confronto intellettuale sarebbe stata la teoria atomica alla base della chimica moderna.
Entrando nei dettagli di questo duraturo scontro filosofico, l'atomismo meccanico era una teoria generale del mondo fisico che si poggiava sull'esistenza di particelle minuscole, gli atomi, in movimento nel vuoto.
Questi atomi erano poi considerati immutabili e indivisibili.
A tale visione "classica" dell'atomo si contrappose appunto la concezione dei minima naturalia (versione latina del termine greco elachista), la quale era basata sia sulle idee di Aristotele prima illustrate, sia sull'idea dell'ilomorfismo, ovvero una concezione metafisica dei corpi visti come combinazione inseparabile di materia e forma.  
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