Poi un passaggio che riletto oggi sembra un triste presagio quando avverte che se non si riuscisse ad alimentare il sogno: “La classe dirigente farebbe solo parte delle istituzioni vigenti e il movimento sarebbe costituito solo da mercenari che si spostano da una parte all’altra a seconda del loro tornaconto personale”. Come non pensare al mercato dei parlamentari di Berlusconi che oggi Bossi tranquillamente accetta?
I sindaci in particolare devono difendere i loro cittadini in maniera visibile”. Come? “Ad esempio mettendo al bando dai loro comuni gli extracomunitari irregolari e i clandestini. Devono dare precedenza nei posti di lavoro ai residenti. Il sindaco cioè deve fare politica e deve prendere visibilità nel dare corpo al sogno con incontri pubblici, nomi di piazze e strade specifici della Padania e dei suoi popoli”. Un progetto come si è visto attuato alla lettera. Mantenendo intatta in tutti questi anni l’ambiguità di un movimento che siede con i propri ministri nel governo di uno Stato da cui ci si vuole separare dando vita alla fantomatica Padania. Vero è che nel frattempo i progetti secessionisti sembrano accantonati per dare vita al più moderato federalismo. Resta infine la domanda principale. Dopo aver definito in tutte le salse, dal ’94 in poi, Berlusconi un amico dei mafiosi, ancora nel 1998 Bossi condanna il partito del padrone con queste parole: “È inconfutabile che un partito che non ha base non può avere tensioni ideali, e che chi è senza sogni non può avere la base. Un partito senza base perché senza sogni è Forza Italia”. Da allora quali argomenti hanno convinto Bossi a tornare sulla via di Damasco, anzi di Arcore? I sogni di tredici anni fa sono svaniti anche per lui?
Il fatto quotidiano del 2 marzo