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L’attesa

Creato il 18 maggio 2014 da Philomela997 @Philomela997

I miei racconti

teleportation
La città era pervasa da uno stato d’attesa. Lo vedevo nella gente che incrociavo per strada, nei cinema, al bar, nei vicini di casa, lo vedevo in rete. Tutto stava cambiando. In un tempo brave, brevissimo. Avrei potuto scriverci la tesi di laurea: lo stato emotivo della massa in attesa.
Fino a quel momento la gente si era abituata a tutto: i computer, l’immigrazione, internet, il cellulare, gli innesti. Sembrava che per un po’ la corsa si sarebbe fermata, invece no. La gente era preoccupata per il futuro, i figli, i nipoti, le case.
Io no, aspettavo e basta. Ero curiosa di vedere cosa sarebbe successo e speravo che succedesse presto. Ero felice di essere giovane proprio in quel momento, abbastanza giovane da potermi godere il cambiamento. Anche perché avrebbe significato più opportunità, più lavoro, più spostamento. E io volevo spostarmi perché ero perennemente insoddisfatta, pensavo uscendo dal bar in cui lavoravo. Coma lavapiatti. Lo facevo solo per mantenermi durante gli studi universitari, beninteso, avevo ben altri sogni per il futuro.
Mentre aspettavo che il tempo mi avvicinasse a una vita migliore dividevo con mia cugina Carola un appartamento piccolo e buio, con le pareti giallo nicotina e i mobili mangiati dalle tarme. Però avevo la connessione e non facevo la fame. Ogni tanto andavamo anche a mangiare cinese. Eppure da quando ero entrata nell’età adulta ero sempre protesa in cerca di qualcosa di diverso. Era una sensazione sottile ma pervasiva che si insinuava nel cervello e non mi lasciava dormire. Come se dovessi fare qualcosa, senza sapere cosa.
Così, quando sui giornali avevano iniziato a scrivere che anche a Nuova Crona sarebbe arrivato il teletrasporto, avevo iniziato ad aspettare. Aspettare il progresso, il futuro e forse, ma non mi azzardavo a dirlo ad alta voce, forse la libertà.
Da quando si era sparsa la voce, mesi prima, la capitale era stata venduta a suon di appalti e i grandi costruttori avevano iniziato a erigere dei complessi di abitazioni e uffici, enormi. Li vedevo ogni giorno tornando a casa, oltre gli edifici scalcinati del centro cittadino, più alti degli alberi dei viali e persino del palazzo reale. A me non dispiacevano, anzi. Forse avrei lavorato in uno di quei palazzi, magari avrei addirittura vissuto in uno di quei palazzi, per un po’, e poi…
Persa nei miei pensieri inciampai in un tombino e lasciai cadere la borsa. Ignorai lo sguardo pietoso di una vecchia indecisa se fermarsi ad aiutarmi e mi rialzai agguantando la borsa. Lanciai alla vecchia il sorriso più acido del mio vasto repertorio e tirai dritto verso casa. Avrei dovuto comprare uno zaino.
Si diceva che Nuova Crona sarebbe diventata un nuovo nucleo di diffusione di civiltà. Il mondo ha bisogno di voi, dicevano le pubblicità per convincerci che il nostro nuovo stato di Livello 4 fosse cosa buona e giusta.
A me il mondo non interessava molto, ma ero comunque a favore di qualsiasi cambiamento rispetto allo stato di cose attuale. Inoltre il teletrasporto significava facilità di spostamento, che implicava raggiungere velocemente le città di Livello 1 e 2, i loro astroporti e poi le stelle, lo spazio vuoto e inesplorato. L’avventura, la libertà e persino la cittadinanza universale, se si aveva abbastanza successo da potersela comprare.
Se avessero aperto le porte del mondo io le avrei usate, mi sarebbe piaciuto lavorare per farle funzionare, mi sarei guadagnata il diritto di viaggiare, di vedere nuovi mondi. E Nuova Crona sarebbe stata finalmente al passo coi tempi.
Qui però sorgeva spontanea una domanda: come mai avevano deciso di promuovere il nostro pianeta? A me sembrava evidente che non fosse pronto, bastava dare un’occhiata in giro. Eravamo a malapena a Livello 6: connessione in rete stabilita in 1/3 delle case, istruzione universitaria per il 35% della popolazione, occupazione femminile al 40%. Stavamo praticamente uscendo dal medioevo.
I vecchi erano preoccupati, gli operai erano preoccupati, gli studenti erano in rivolta e il Re era impotente. Io ne ero felice. Tutto questo significava meno concorrenza per i veri progressisti. Che gli sciocchi si rifiutassero pure di lavorare per la Sezione Trasporti, c’erano più probabilità che fossi io ad essere assunta. Prima un ufficio, poi i viaggi e poi, forse, le stelle.
Sembrava tutto così lontano da Nuova Crona, dove i rifiuti si ammonticchiavano agli angoli delle strade, ma nella mia mente iniziava a profilarsi, arricchendosi di sempre maggiori dettagli, il progetto della mia vita.
Poi mi ritrovai di fronte alla parete scalcinata del mio condominio. Una doccia fredda di realtà. Sospirando aprii la porta e mi ritrovai nell’androne. Controllai la buchetta della posta, che per fortuna era vuota e chiamai l’ascensore. Il rumore cigolante del marchingegno che scendeva a scatti mi innervosiva sempre. Il pensiero che ogni giorno la mia vita fosse appesa a quel cavo d’acciaio mi rendeva assolutamente consapevole del fatto che sì: la morte era l’annullamento di ogni progetto. Tutto poteva finire lì, per caso. Chissà se si potevano contare le probabilità che un bel giorno precipitassi.
L’ascensore si assestò davanti a me e come ogni giorno entrai, spinsi il pulsante del quarto piano e attesi. Uscii. Il giorno dopo avrei avuto più probabilità di schiantarmi? Sicuramente no, dicevano i ricordi di un corso di statistica, ma vallo a spiegare al cuore che accelera il battito, o allo stomaco che si stringe.

Entrai in casa e il tanfo di sigaretta mi colpì come un pugno.  Mia cugina aspettava in cucina, le dita che stringevano convulse il posacenere straripante.
Carola era una donna dolce, la maggior parte delle volte. Sensibile, ma non molto aperta di mente, per quanto colta. Questo era principalmente il motivo per cui non le avevo mai parlato delle mie speranze riguardo il teletrasporto e il passaggio a Livello 4.
Quel giorno, però, fu lei a tirare in ballo l’argomento.
Appesi il cappotto e mi avviai in cucina. Carola stava fumando con la finestra chiusa. Il puzzo sarebbe rimasto in casa per giorni. I mobili sembravano assorbire gli odori, per non parlare delle tende. Avremmo dovuto cambiare l’aria più spesso.
- Ehi, Mona, sei arrivata – disse venendomi incontro. – Ti porto la borsa in camera, siediti in cucina.
Disobbedii sorridendo e zoppicai fino alla mia stanzetta.
Carola si appoggiò allo stipite della porta e mi fissò con un’espressione strana. – Senti, Mona, com’è andata oggi? – chiese.
Mi guardò con una faccia stralunata mezza nascosta dai riccioli biondi tinti. E dire che il suo era un bel colore, un castano chiaro dorato. Bionda sembrava più vecchia.
- Tutto bene. Ho studiato, ho lavorato, sono a casa. Tu?
- Eh, però, che giornata interessante – disse sarcastica, dissimulando un sentimento che non riuscivo ad afferrare. – Io ho fatto colazione al bar dove lavori – aggiunse, – ma tu eri a lezione. Così ho parlato un po’ col grande capo. Un bel tipo, tra l’altro. Abbiamo chiacchierato e ho scoperto che sei un’entusiasta del teletrasporto. Così ho pensato… è impazzita?
- Sei impazzita? – ripeté fissandomi.
A quel punto non potevo far altro che metterla a parte della mia opinione. – Penso che sia una buona cosa – dissi. – Aprirà le frontiere, ci saranno più possibilità per il futuro, è il progresso, no?
A quel punto sul volto di Carola comparve un’espressione triste. Stanca, e triste.
- E cosa pensi che succederà quando passeremo al Livello 4, Mona? Sei la mia cuginetta e ti voglio bene, ma lasciati dire che sei ingenua. Pensi davvero che questa cosa ci porterà dei benefici? E quell’affare continuerà a vomitare dentro gentaglia, come se non ne avessimo già abbastanza.
- Ma smettila – sbottai. – Non ti sopporto quando sei così chiusa. Lo so che non sei così retrograda, non capisco!
- Chiusa? Retrograda? Ma non sai quel che dici, tu pensi che le cose miglioreranno, Mona, ma non è così. Non per noi.
Sentii il rossore salirmi alle guance, e la rabbia prendere il sopravvento sulla ragione. – Scusami, ma invece sì. Miglioreranno per me, forse. Per tutti. Per chi si darà da fare e saprà cogliere l’occasione ci sarà una possibilità. E a me basta quella, una sola possibilità, Carola.
- Ma possibilità di fare cosa, esattamente?
Era una conversazione esasperante e allo stesso tempo esaltante. Non credevo, allora, che mia cugina potesse muovermi delle obiezioni serie.
- Oddio, cosa? – risposi con la voce strozzata. – Passare a Livello 4 vuol dire avere un lavoro decente, di responsabilità, vuol dire cittadinanza terrestre e poi chissà, la possibilità di viaggiare, farsi un nome e se va bene vedere degli altri pianeti. Non so a te, ma a me sembra abbastanza.
Carola si fece cupa e abbassò gli occhi. – Mona, ti voglio bene e non vorrei dovertelo spiegare.
- Cosa?
- Mona, tu non diventerai cittadino di Livello 4.
- Eh? Cosa dici?
- Mona, a te manca una gamba – disse portando una mano a toccarsi i capelli, come sempre quando era imbarazzata.
- Sì, lo so, c’ho pensato, cosa credi? Troverò il modo di avere un impianto.
- Mona, ma non lo sai? Gli impianti di quel tipo sono su un’altra scala di valore rispetto alla nostra. Non è neanche comparabile. Devi essere un cittadino di Livello 4 per poterti permettere una gamba nuova. E non puoi diventare un cittadino di Livello 4 se ti manca un arto. Devi essere sano, o devi essere ricco.
- E come lo sai?
- Lo sanno tutti, Mona, è la stessa cosa che fanno con gli immigrati. Devi avere un permesso di soggiorno per trovare un lavoro, e devi avere un lavoro per ottenere un permesso di soggiorno.
- Sì, ma…
- Mona, qui cambierà tutto e per te sarà peggio che per gli altri.
- Ma io…
- Mona ascoltami – disse venendomi vicina e prendendomi le mani tra le sue, –  quando arriverà il teletrasporto arriverà anche il governo, capisci? Noi viviamo tranquilli perché siamo ancora legati al modo di fare che c’era prima, ma il resto del Governatorato no, e sta arrivando. Succederà come in tutti gli altri posti. Stordiranno la gente con le chiacchiere della tv e quando arriveranno l’idea sarà diventata un’abitudine, non ci saranno lotte. Gli anziani, i deboli e i malati perderanno i diritti civili. E tu sei tra questi, Mona.
Impiegai un attimo ad assimilare quelle informazioni. – Come le sai tu queste cose? – chiesi infine, arrabbiata e confusa.
- Le ho lette su un opuscolo della resistenza armata.
- Che cosa?
Carola lasciò le mie mani e prese a torturarsi un ricciolo biondo.
- Lavoro per loro – disse. – Tu cerca di stare tranquilla e non preoccuparti, quando arriveranno farò in modo di essere io a ottenere la tua custodia. Ce ne staremo qui buone buone, passando opuscoli e accogliendo un ospite ogni tanto. Ecco cosa faremo.
La fissai a occhi sbarrati.
- Credo che dovrai cambiare qualcosa nei tuoi progetti, cuginetta – concluse.

Così rimasi buona e quieta, ad aspettare.


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