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Almeno 800 agenti pesantemente armati hanno partecipato nella mattinata di giovedì a un raid antiterrorismo a Sidney. L’operazione ha portato all’arresto di 15 elementi affiliati allo Stato Islamico.
Non si è trattato di semplici sospetti: le accuse rivolte contro un già noto terrorista – di cui l’intelligence aveva seguito gli spostamenti prima verso la Siria e poi il ritorno in Australia – e il suo gruppo, sono di pianificare imminenti attacchi nel paese. Sarebbero stati omicidi dimostrativi, probabilmente decapitazioni, ai danni di vittime casuali scelte tra i cittadini in aree affollate. L’obiettivo era colpire gli australiani dal punto di vista psicologico: shockarli, lasciandoli terrorizzati di girare liberamente per le strade delle proprie città – il modello, per certi versi, simile a quello di Woolwich, sud est di Londra, dove due uomini uccisero con un machete Lee Rigby, un innocente soldato inglese in borghese.
Si è trattato della più imponente operazione antiterrorismo della storia australiana, tanto che il primo ministro Tony Abbott è rientrato dalla tenda aborigena da dove ha guidato il governo questa settimana, per complimentarsi direttamente con le forze di polizia.
Le incursioni hanno riguardato 12 sobborghi di Sidney, mentre alcuni raid sono scattati anche a Brisbane – dove però l’operazione si collegherebbe a quella già avviata il 10 settembre su un centro culturale islamico.
Il pericolo jihadisti in Australia ha assunto un certo rilievo: secondo le stime dei servizi ci sarebbe oltre un centinaio di combattenti in Siria – di questi almeno una quindicina sono rimasti uccisi, alcuni hanno portato a termine attacchi kamikaze (uno di questi si sarebbe fatto saltare il 21 luglio in Iraq). Tra loro anche Khaled Sharrouf, l’uomo balzato alle cronache internazionali per aver postato sui social network la foto di suo figlio di sette anni con in mano la testa mozzata di un soldato siriano. La foto era stata scattata a Raqqa, la capitale siriana del Califfato, intorno all’11 agosto, e portava il commento «That’s my boy»; la testa probabilmente era di uno degli uomini del regime che combatteva nella vicina base della Brigata 93; lo sfondo la solita recinzione metallica che circonda il palazzo del governatorato. Sharrouf è di Sidney, era già stato arrestato nel 2009 sospettato di cospirazioni terroristiche, poi rilasciato sotto sorveglianza era riuscito a scappare all’estero utilizzando il passaporto del fratello. Le immagini dei figli con pistole e kalashnikov in mano sono una specie di costante nei suoi account, ma la foto del bambino con la testa ha sconvolto il mondo: anche sull’onda emotiva di quelle immagini, il governo australiano aveva stretto la cinghia sulle leggi anti-terrorismo.
L’incubo sono i “jihadisti di ritorno” – come nel caso dei pianificatori arrestati o del franceseRemy Nemmouché, l’uomo della strage al museo ebraico a Bruxelles. Per questo Canberra ha deciso il 12 settembre di alzare il livello di minaccia terroristica – sicurezza interna – da “medium” ad high”, decisione seguita all’inasprimento dei controlli agli aeroporti. È la prima volta che l’asticella viene messa così in alto – più in su c’è solo “extreme”, che viene utilizzato quando la nazione è sotto attacco.
In questo momento il paese di Abbott è molto esposto: la minaccia interna già consistente si amplificherà dopo la decisione di aderire alla coalizione internazionale “anti-IS”. Il 14 settembre è stato comunicato l’invio di 600 soldati, tra cui alcune unità speciali SAS; le forze si posizioneranno negli Emirati Arabi, dove sono già presenti un C130 Hercules e un C17 Globemaster inviati a fine agosto per missioni umanitarie (ai tempi dell’emergenza yazidi): a questi si aggiungeranno 8 caccia da combattimento F/A 18 Super Hornet e un E7A Wedgetail, aereo da AEW&C, della Raaf.
Lo Stati Islamico sembra ormai in grado di fare proseliti anche in aree del mondo remote rispetto ai territori del Dawlah: girano notizie su centri di reclutamento maldiviani, mentre si fanno sempre più corposi i sospetti su quattro cinesi arrestati in Indonesia, membri dei gruppi del Xinjiang diretti nel Califfato.
Spostamenti lunghi e complicati, viaggi rocamboleschi che muovono persone da un porto all’altro grazie all’appoggio di complici locali, e che permettono alle forze del Califfato di aumentare il numero dei propri soldati – secondo alcune stime, sarebbero oltre 10 mila i combattenti stranieri tra Iraq e Siria.
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