(in foto, Arianna ed Edoardo)
Il 2 aprile, come ogni anno, viene celebrata in tutto il mondo la “Giornata Mondiale della consapevolezza dell’Autismo” istituita dalle Nazioni Unite, con il chiaro obiettivo di sensibilizzare cittadini, istituzioni e rispettive figure professionali su una malattia molto diffusa, le cui cause risultano ancora poco chiare. Tuttavia, risultano ancora molto frequenti interrogativi sui criteri che rendono effettivamente differente un soggetto autistico da uno non-autistico. Spesso ci si domanda anche come si presenta questo “mostro gentile” nella vita di chi se ne prende cura. Per rispondere a queste domande, dopo aver definito l’autismo da un punto di vista clinico, ci confronteremo con le parole di chi, a fianco all’autismo, è cresciuto.
Letteralmente Autismo significa “vivere nei termini del sé”. In particolare, i Disturbi dello Spettro Autistico (denominazione della comunità scientifica) compaiono di solito entro i tre anni e sono perlopiù caratterizzati da una compromissione grave e generalizzata di due principali aree evolutive: la grande sfera della capacità di comunicazione e di interazione sociale e quella che comprende invece interessi di vario tipo e attività pratiche.
Negli anni, sono state molte le ipotesi avanzate sulle possibili cause, mostrando spesso prospettive contrastanti. Da un lato troviamo posizioni psicogeniche, per il quale l’autismo è una condizione mentale che si istituisce come conseguenza alle dinamiche precoci tra madre e figlio: in risposta a un comportamento “freddo” della madre, il bambino elaborerebbe meccanismi di difesa, circoscrivendosi in una sorta di “fortezza” che precluderebbe gli scambi emotivi (Bruno Bettelheim); in un’ottica differente si inseriscono invece alcuni studi condotti sulle famiglie e in particolare su fratelli gemelli, i quali hanno dimostrato che questa malattia ha una forte impronta genetica, anche se quest’ultimo non rappresenta l’unico fattore causale. La tesi di Bettelheim e di altri psicoanalisti riscosse un grande successo negli anni Settanta e Ottanta ma anni di studi e ricerche hanno ben presto evidenziato una netta separazione tra interpretazioni psicogeniche ed interpretazioni organicistiche che, al contrario delle prime, attribuiscono la sintomatologia autistica a cause biologiche. Secondo dati recenti, potrebbero avere un ruolo importante alcuni tipi di danni organici che si verificano durante lo sviluppo del sistema nervoso. (R.Stoner, M. Chow & CO.)
Nonostante tutto, ad oggi è possibile affermare che le cause dell’autismo, nonostante il proliferare di molte teorie a riguardo, restano ancora sconosciute. Ben più chiari sono invece i sintomi del disturbo, i quali si presentano come:
– compromissione dell’interazione sociale (incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo o la gestualità, mancanza della condivisione di interessi con l’Altro)
– compromissione più o meno grave della comunicazione (ritardo o assenza di linguaggio verbale, incapacità di sostenere una conversazione)
– compromissione del comportamento (attività motorie ripetitive, preoccupazione per uno o più interessi limitati a particolari oggetti che sono anomali nel contenuto e nell’obiettivo)
E’ evidente come l’autismo sia un disturbo piuttosto pervasivo e come si evidenzi soprattutto nel rapporto con l’Altro. E’ interessante capire, mantenendo ferma questa prospettiva, in che modo questa condizione viene vissuta da chi ci fa i conti ogni giorno e da chi, in qualche modo, se ne prende cura. A tal proposito, soffermandoci su un livello più umano e squisitamente psicologico, ci giunge preziosa la testimonianza di Arianna Sterpone, ragazza di vent’anni e sorella di Edoardo, diciottenne affetto da Autismo. (qui l’invervista integrale) Edoardo non utilizza in alcun modo il linguaggio verbale e di conseguenza non scrive e non legge: “utilizza oggetti in maniera ripetitiva, magari snaturandoli della propria funzione o non comprendendola. Capita che abbia delle crisi, durante le quali, spesso, compie gesti autolesionistici”. “Essere ammessi nella sua fortezza” aggiunge Arianna “è privilegio di pochi. Sentire profondamente di essere in contatto con lui, sentire che ti ascolta e che davvero sta interagendo con te è un’emozione commovente.”
Si evince così come, con tutta probabilità, convivere con un disturbo di questo tipo rende persone più forti, più consapevoli e più empatiche. E’ fondamentale tener presente, tuttavia, che viverlo ogni giorno non è così lineare come potrebbe apparire. “L’autismo è una tragedia” sottolinea Arianna. “Io stessa, da piccola, quando Edoardo mi distruggeva libri e giochi, quando non comprendevo i suoi comportamenti né riuscivo ad accettarli, mi arrabbiavo con i miei genitori: Perché proprio a me doveva toccare un fratello così?”.
Oggi più che mai, pertanto, risulta chiaro come sia necessario incentivare politiche di assistenza alle famiglie, sia psicologiche che materiali. Con la speranza che si possa un giorno gettar luce sui fattori genici dell’Autismo, ci sediamo a fianco alla scienza, tentando il dialogo con quel mondo così apparentemente differente dal nostro “privo di obblighi e di sovrastrutture”, dove “la razionalità cede il passo alla sensibilità”.
Roberto Gammeri
Link all’intervista integrale —> Autismo: intervista ad Anna Serpone
BIBLIOGRAFIA
– Rich Stoner, Maggie L. Chow, Maureen P. Boyle, Susan M. Sunkin, Peter R. Mouton, Subhojit Roy, Anthony Wynshaw-Boris, Sophia A. Colamarino, Ed S. Lein, and Eric Courchesne, Patches of Disorganization in the Neocortex of Children with Autism , 27 Marzo 2014
– DSM IV: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson S.p.a., 1999, pp 83-88
– Schaffer H. Rudolph. I concetti fondamentali della psicologia dello sviluppo. Cortina Raffaello, 2008