Autorità: che parola austera di questi tempi. Cosa significa oggi? E se riferita ad un genitore, dunque in un contesto educativo, ha ancora un senso? È forse giusta l’autorità che ritroviamo nel film The tree of life, del quale ho scritto nel post precedente, ovvero un padre autoritario in perfetto stile anni ’50?
Francamente non so perché l’autore di questo libro, Paolo Crepet, abbia scelto per il titolo del suo libro L’autorità perduta. Esattamente autorità piuttosto che autorevolezza. Sfumature del linguaggio, direte voi, ma per me non è così. Con un sillogismo semplice e veloce, analizzando le parole — visto che chi scrive sa che queste non sono campate per aria ma hanno un peso e un senso — proviamo a ricostruire.
Autorità e autorevolezza hanno la stessa radice latina auctor –oris, autore ma si sviluppano in modo diverso:
autorità si riferisce all’azione determinante che la volontà di una persona esercita (per forza propria, per consenso comune, per tradizione, ecc.) sulla volontà e sullo spirito di altre persone;
autorevolezza invece è un derivato di autorévole e si riferisce a persona che ha certo autorità, ma per la carica che riveste, per la funzione che esercita, per il prestigio, il credito, la stima di cui gode; oppure attiene a cosa, che rivela o ha in sé autorità, perché proviene da persona tenuta in gran conto.
Procedendo oltre e a ritroso scopriamo che autóre deriva dal latino augere «accrescere»; propriamente s’intende «chi fa crescere».
Mi pare che sia meglio accrescere e far crescere perché, come genitori, si è tenuti in gran conto piuttosto che agire per forza di un’azione determinata dalla mera volontà. Genitori dunque autorevoli e non autoritari. L’autorevolezza presuppone la stima e la voglia di accrescere. Mi chiedo: sono ancora vive nel rapporto genitoriale dei giorni nostri?
L’autore in questo libro ci invita a riflettere sull’autorità perduta, anche se poi nella lettura ecco apparire anche la parola autorevolezza. Nelle sue pagine si ritrovano uno spaccato della società contemporanea e una fotografia fedele e disincantata dell’attuale mondo dell’infanzia, adolescenza e gioventù. Egli parla principalmente ai genitori e dei genitori, per arrivare a descriverci le dinamiche dei figli. Ci sono pagine che ti fanno venire i brividi, non solo per i fatti riportati, ma per come siamo diventati e per i danni che causiamo a noi stessi e, di conseguenza, ai nostri figli. Altre invece sono commoventi ed alcune più lievi, ma sempre con un retrogusto amaro.
Ho trovato questo libro illuminante e condivisibile dalla prima all’ultima pagina, anche se a volte arriva al punto come un pugno nello stomaco, ma è forse necessario per svegliarci da questo torpore educativo e morale che sembra averci assalito, chi più, chi meno. E figli stanno a guardare.