E poi.
Scrivo “e poi” perché è un’espressione che apprezzo molto. Potrebbe sembrare comune, scontata, ma. L’espressione, che può contenerne di altre – improvvise, sconcertanti o noiose – può essere usata in due modi. La prima è quella prolissa, noiosa, deludente.
“Come non capitava da tempo, pomeriggio, ho dormito. E poi, mi son guardata un po’ di televisione. E adesso, sono qui che scrivo qualcosa di indefinibile, proprio perché pomeriggio ho dormito. E poi dicono che dormire il pomeriggio fa bene. Se fare bene vuol dire scrivere bofonchiate del genere… ”
La seconda è più coinvolgente, rapida, inaspettata.
“Ho poggiato la testa sul cuscino e mi son subito addormentata, e poi ho fatto un sogno strano, che sembrava tutto fuorché un sogno. Possibile? E poi proprio quando stavo cominciando a credere a quel sogno, squilla il telefono. Esco dal sogno, rispondo cercando di chiudere in fretta per rientrarvi, ma mentre ero lì a vivermelo, qualcosa disturba la scena sognata. Ritorno nella realtà. Qualcuno accende la luce, e poi non ho dormito più.”
E allora ho pensato di scrivere qualcosa su “e poi” che può sempre servire! Metti caso che ti fanno un’intervista, o ti chiedono un’informazione, senza un “e poi” come fai? E se poi va male?
L’e poi, è un po’ come l’iPod dei giorni nostri, senza di quello sei perso non conosci i dove, i quando e i perché della vita. Senza un “e poi” non prendi sonno. Senza il poi non c’è il prima, e non viceversa. Prima il poi e poi il prima.
Questo, per dire che oggi come oggi se non hai un’e poi a portata di mano, rischi di perdere tutto. Per fortuna io tengo sempre uno di riserva, in posti che nessuno scoprirebbe mai. Ora per esempio il mio “e poi” è andato a letto, e si aspetta che lo raggiunga, ma io non gli do mai nessuna certezza perché un “e poi” vive di incertezze e di interrogativi senza il punto, incompiuti.
Delle volte esco e lo lascio a casa, a riflettere sul suo futuro.