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L’economia e il fine della ricerca economica: quale approccio alla globalizzazione?

Creato il 09 gennaio 2012 da Elvio Ciccardini @articolando

Pubblico l’introduzione di un mio progetto di ricerca…

qualsiasi contributo, parere, commento, critica, è ben accetto!

Introduzione

L’economista è una persona che “studia” l’Economia e, più in generale, la società, analizzandone i comportamenti economicamente rilevanti. Il suo compito è quello di cogliere la presenza di regole scritte e non scritte, capaci di spiegare l’agire economico di: individui, gruppi, imprese e pubblica amministrazione….


Condividendo questa definizione, almeno in prima analisi, è plausibile pensare che tale studio debba essere finalizzato al raggiungimento di un obiettivo, che non può essere solamente economico, ma è anche esistenziale e sociale. Così come, è plausibile ipotizzare che tale obiettivo sia da considerarsi all’interno di un percorso evolutivo dell’uomo, che utilizza l’economia come strumento di “crescita personale e collettiva”.
I comportamenti economici, di conseguenza, dovrebbero essere funzionali alla soddisfazione di bisogni primari, in maniera tale che gli uomini possano liberare parte del loro tempo, per dedicarlo al soddisfacimento di bisogni di ordini superiori, o secondari. Solo in questo modo l’economia può permettere all’uomo di elevare il “proprio tenore di vita” e di “vivere uno stato di benessere”.
In questa chiave interpretativa, tale materia non può essere considerata come un “sistema naturale” che segue proprie leggi universali, che devono essere assecondate o in grado, “eorum sponte”, di produrre benessere collettivo e a cui l’uomo, e quindi le società, devono sottostare.
A detta del sottoscritto, il metodo scientifico (per intenderci quello che indaga le leggi della fisica, della medicina, della biologia, ecc.) non può essere esteso alle materie economiche che non sono naturali, ma frutto d’artifici umani che nulla hanno a che vedere con il “creato”, ma che prendono dal creato secondo strumenti della tecnologia non armonici. Se le leggi della fisica trovano applicazione a prescindere dall’agire umano, poiché universali, senza l’uomo, l’economia non avrebbe motivo di esistere. Inoltre, l’attuale modello di economia non rispetta le regole di un ecosistema che è l’origine primigenia di ogni forma di scambio e di produzione di beni. Poiché è l’uomo a definire le regole dei comportamenti economici attraverso le istituzioni preposte a tal scopo, siano esse nazionali o sovranazionali, senza tenere conto di nessun vincolo di “rigenerazione” delle risorse naturali, ne di conservazione delle stesse.
Le forme di mercato, il comportamento delle imprese e, infine, dei singoli attori economici, non possono, quindi, che inquadrarsi nella filosofia del diritto naturale e, per questo, è implausibile pensare che possano sottrarsi alla legge morale alla quale sono sottoposti gli individui stessi.
Partendo da questo semplice assunto, in questo lavoro, si vogliono presentare alcune argomentazioni a supporto della necessità di rivedere il ruolo e la funzione dell’economia nella società, attraverso la presentazione di contributi teorici che richiamano alle principali culture morali dei giorni nostri. Inoltre, si vuole presentare, seppur sommariamente, ma in chiave critica, quella parte di letteratura economica che ha analizzato e indagato i processi d’internazionalizzazione delle imprese, focalizzando l’attenzione sugli effetti di spillovers (esternalità) collegate a tali fenomeni. A parere di chi scrive, questa parte di letteratura economica, molto prolifica di studi e ricerche, nonché attuale, poiché predittrice del passaggio dal capitalismo al sistema globale o mondiale, ben rappresenta i limiti di una visione economica incapace di cogliere e prevenire molti di quei mali contemporanei con cui le società di oggi si confrontano.
La conclusione del lavoro si propone di presentare spunti di riflessione per una rilettura del rapporto tra “processi di internazionalizzazione e territorio”, avanzando possibili strumenti di governance solidale.


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