Parte 1: Vegetarianesimo e consumo di carne
Esiste un apparente paradosso tra l’aumento della dieta vegetariana e vegana nella società occidentale e un parallelo aumento di consumo di carne. Come si spiega?
In realtà, per secoli, larghe masse di persone in Occidente e, in generale, nel mondo sviluppato, sono stati vegetariani involontari, per il semplice fatto che non potevano permettersi di consumare prodotti animali e, in particolare, cibi costosi e prestigiosi come la carne. Qualcuno poteva permettersi di mangiare carne solo in speciali occasioni, in certe feste religiose o in occasione di matrimoni e simili riti di passaggio, mentre altri non potevano permetterselo mai, non avendo accesso neppure agli usi redistributivi che riti e feste offrivano. Fu solo con l’industrializzazione che la carne divenne meno cara e più democratica; durante lo stesso periodo, però, anche i vegetariani volontari divennero più numerosi e vocianti e si trasformarono in un interessante segmento del mercato alimentare in Occidente (Fiddes 1991, Beardsworth and Keil 1997, Grigg 1999).
Anche se dieta vegetariana e carnivora sembrano crescere assieme nelle culture occidentali, in realtà, se consideriamo solo il vegetarianesimo volontario e il consumo mondiale di carne, i due fenomeni non sono commensurabili attualmente, dato che per cifre e percentuali quest’ultimo è assai più importante (FAO 2006, Beardsworth and Keil 1997). Si aggiunge poi il fatto che il vegetarianesimo non è un concetto ben definito, che cambia a seconda degli stili di vita e opinioni politiche (Beardsworth and Keil 1997). La dieta vegetariana degli antichi greci e romani, anche se praticata da una minoranza all’interno dell’elite e degli intellettuali, era una specie di critica dell’ortodossia morale e culturale (Spencer 1993). Durante il medioevo, poi, il rifiuto della carne si associò a eresie radicali come quelle dei Bogomili e dei Catari, anche se durante il Rinascimento l’elitismo vegetariano si mescolò con critica morale e preoccupazioni salutiste. (Spencer 1993, Montanari 1994).
Un movimento vegetariano coerente emerse per la prima volta in Inghilterra nel XIX secolo, in coincidenza con la Rivoluzione Industriale e l’Urbanizzazione. C’è da tener presente che le verdure, a parte patate, cavoli ed erbe selvatiche, in questo paese erano in generale un lusso per via della difficoltà climatiche. Per tutto il XIX e il XX secolo la dieta vegetariana mantenne sia i suoi legami con il radicalismo borghese che con l’intellettualismo elitario. In più essa conserva, oltre all’umanesimo antimodernista più o meno settario, preoccupanti aspetti antiumanisti, autoritari e anche totalitari, come è ben mostrato dalla fede vegetariana di molti gerarchi nazisti, ma non solo.
Tra il 1800 e il 1950 i paesi occidentali subirono un profondo cambiamento dietetico per via dell’aumento del reddito: all’inizio la risposta della gente a questa nuova ricchezza fu un aumento del consumo di pane e patate, le principali fonti di amidi, per ridurre la fame, poi si passò a un maggior consumo di zucchero, olio e grassi animali, frutta e vegetali e, soprattutto, carne e latticini, mentre il consumo di amidi cominciava a declinare (Grigg 1995, 1996). Negli anni 1820 le proteine provenivano in gran parte dai cereali e dai legumi secchi, ma per gli anni 1960 metà delle proteine di Francia e Inghilterra provenivano da alimenti animali. Dal 1960 in poi, però, il reddito era diventato un fattore meno importante nelle scelte alimentari occidentali, dove era incoraggiata una società pluralista e individualista (Grigg 1999). Dal 1961-62 vi è stato un aumento pro capite di reddito nei paesi in via di sviluppo che ha portato a un aumento del cambiamento di regime alimentare simile a quello avvenuto in Occidente nel XIX secolo, quando il maggior reddito e la caduta dei prezzi degli alimentari aveva portato all’eliminazione delle carestie e alla riduzione della malnutrizione. Tra gli anni 1960 e 1990 il consumo di carne è aumentato soprattutto in Asia, dove è più che triplicato dagli anni 1970. in poi Nei paesi sviluppati, invece, vi è stato un aumento maggiore nel consumo di pollame e maiale che di montone e carne bovina, in parte a causa del minor costo del pollame e dell’alto contenuto di grassi del maiale (Grigg 1999).
Anche se paesi non occidentali sembrano seguire il modello nutritivo dell’Europa occidentale e degli USA, in realtà gli abitanti di paesi fortemente industrializzati come il Giappone e la Corea del sud sono lenti nel cambiare le loro abitudini alimentari con l’aumento del reddito. Oltre a ciò, si aggiungono, alla continua importanza del riso (anche se minacciato da pane, pasta e corn flakes) e del pesce nella dieta, le preoccupazioni salutiste occidentali nel rendere minore il consumo di carne rossa (Grigg 1999, Lee, Lee and Kwon 2003).
Ross (1980) ha dimostrato come il cambiamento economico abbia suggerito sviluppi ideologici: in particolare la sua analisi dell’industria bovina americana dimostra come l’aumento dei prezzi di carne bovina ha causato un aumento di opzioni più economiche, dal consumo di maiale alla dieta vegetariana. Beardworth and Keil (1997), a loro volta, sulla base di numerosi studi sui vegetariani nel Regno Unito e negli USA, hanno scoperto che i vegetariani/vegani sono ancora una ristretta minoranza e che, attualmente, la loro visibilità è aumentata per via della retorica ecologista-animalista e New Age e in genere per maggiori preoccupazioni per stili di vita salutisti individuali. mentre i vegetariani del XIX e metà del XX secolo erano figli dell’urbanesimo industrializzato occidentale, quelli del tardo XX e inizio XXI secolo sono nati dal pluralismo alimentare globalizzato e metropolitano. Questo è, a sua volta, una risposta individuale volta a calmare l’ansia provocata dall’eccessivo controllo del Welfare State o stato ‘terapeutico’ (Nolan 1998) sulla vita individuale. La dieta vegetariana è anche favorita dall’industria alimentare come interessante nicchia dietetica ed è facilitata dal moderno sistema alimentare che offre al ricco consumatore occidentale una gamma di alimenti vegetali liberi dalle restrizioni stagionali e locali e che rende fattibile una cucina vegetariana caratterizzata da varietà e novità (Beardsworth and Keil 1997:237-38). Così, vegetariani bigotti più o meno radicali se ne stanno comodamente e profondamente inseriti nella società capitalista globalizzata, mentre i fondamentalisti vegani non durerebbero neppure una settimana se non fossero spalleggiati dall’enorme potere dell’industria chimica e dall’agrobusiness.
In conclusione, i propugnatori occidentali della dottrina alimentare vegetariana, tranne poche eccezioni, provengono da quegli strati sociali ricchi abbastanza da poter mangiare carne. Non vi è poi alcuna contraddizione tra l’aumento mondiale del consumo di carne e l’attuale aumento di vegetariani in Occidente. Infatti, entrambi sono il prodotto dell’aumento di reddito e diminuzione dei prezzi alimentari e delle maggiori preoccupazioni salutiste, stili di vita più individualisti e pluralismo dietetico globalizzato.(segue parte 2. Bibliografia alla fine)