Esistono solo ed esclusivamente due metodi per l'acquisizione della ricchezza. Il primo è il metodo della produzione, che solitamente è seguito dalla pratica dello scambio volontario dei prodotti. L'altro metodo è il sequestro dei prodotti di un altro, ovvero l'espropriazione violenta della proprietà di un altro individuo. Nell'ultimo secolo è progressivamente andato aumentando il numero delle persone che puntano il dito contro il primo di questi due metodi e al contrario sostengono e fomentano lo stato affinché segua la seconda via per l'acquisizione della ricchezza. Alla base dell'attuale confusione economica e legislativa c'è proprio la progressiva diminuzione dell'importanza dei diritti di proprietà: Ciascun individuo non ha più un assoluto diritto al controllo e alla proprietà del suo stesso corpo e delle risorse naturali inutilizzate che egli scopre e trasforma. Ciascun individuo non ha altresì il diritto di cedere beni tangibili e di scambiarli per ottenere beni altrui. Criminale non è più colui che viola la proprietà del suo stesso corpo e delle risorse che scopre e trasforma, bensì dipende costantemente da qualche funzionario statale. Nonostante gli ingegneri sociali continuino a perseverare sulla strada della pianificazione, le forze che regolano la sopravvivenza umana continuano a tentare di sovvertire un ordine sociale che va contro qualsiasi legge naturale. Per la prosperità e la sopravvivenza umana non è necessaria solo la produzione, ma anche lo scambio volontario, libero da qualsiasi ingerenza statale. Ecco che proprio in questi anni di crisi lo spirito del libero mercato torna a far capolino e ad opporsi alle forze di omologazione economica, diventando il baluardo a cui aggrapparsi per coloro che vengono macinati dagli ingranaggi della macchina statale.Come recita un vecchio adagio, più è costoso licenziarti, più è costoso assumerti. Niente di più vero di quanto lo sia oggi nel continente europeo. Anche con l'allungamento delle indennità di disoccupazione dall'inizio della crisi negli Stati Uniti, i benefici americani impallidiscono in confronti alla media europea. Dopo il licenziamento un francese può aspettarsi più della metà del suo salario tramutata sotto forma di sussidi di disoccupazione. Molti lavoratori europei ottengono l'estensione di questi benefici per due o tre anni dopo la fine del loro rapporto lavorativo. In alcuni paesi ciò viene esteso indefinitamente. I periodi di disoccupazione sono quindi prolungati sul continente europeo. Le leggi severe che regolano la separazione degli impiegati dalle aziende (un modo carino per dire "Sei licenziato") abbassano il tasso di separazione lavorativa in questi paesi. Sfortunatamente queste leggi abbassano anche il tasso di nuove assunzioni, con una conseguenze disoccupazione prolungata dalla durata evidente. Questo problema di disoccupazione di massa non era altro che una sfortunata conseguenza del ben sviluppato sistema di welfare sociale durante gli anni di crescita. Le casse del governo hanno pagato questi pesanti benefici. Quando è arrivata la crisi, questi sfortunati effetto collaterale si è gradualmente trasformato in un treno senza controllo poiché i deficit di bilancio si sono allargati e i costi dello stato sociale hanno sollecitato ulteriormente le deboli finanze statali. Una diminuzione dei benefici può costituire una sfortuna per coloro che dipendevano da essi, ma tagli di questo genere sono inevitabili. Già diversi paesi hanno messo in atto delle misure per cercare di tramutare questi sistemi insopportabili in realtà sostenibili. L'età della pensione è stata estesa per ridurre i costi della previdenza sociale e i sussidi di disoccupazione sono stati tagliati. Le persone hanno risposto con le proteste, cercando di mantenere lo standard di vita per cui hanno combattuto così duramente nei decenni passati. Sfortunatamente non tutte le cose desiderabili sono anche attuabili e lo stato sociale europeo costituisce un caso emblematico. Fortunatamente c'è un lato positivo. In molti paesi europei, specialmente nella periferia colpita dalla crisi, esiste una vasta economia sommersa. Mentre il tasso di disoccupazione spagnola si attesta attorno al 20 per cento, una porzione sostanziosa di questi lavoratori ha in realtà un impiego, anche se solo al di fuori delle statistiche ufficiali. Come ho delineato in un nuovo lavoro che ho curato, Istituzioni in Crisi: le Prospettive Europee sulla Recessione, le economie sommerse della periferia europea forniscono ampie (anche se non sempre auspicabili) opportunità di impiego. Mentre l'economia greca ha la più ampia economia sommersa, pari al 25,2% del PIL, i PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) hanno una media delle attività economiche nascoste dalle statistiche ufficiali che si attesta al 21,7%. Per fare un paragone, in Germania la media è del 14,7% mentre in America del 7,8%. Se le masse di lavoratori ufficialmente disoccupati possono trarre conforto nel sapere che esistono grandi opportunità sotterranee per ripagare i loro sforzi, possiamo delineare quali sono le cause per cui queste opportunità esistono. Hans Sennholz, nel suo lavoro L'Economia Sommersa, elenca quattro principali categorie che riguardano l'attività economica sommersa:
- la porzione che evade le tasse
- la porzione che viola le leggi o gli standard produttivi
- produzione attraverso il trasferimento dei beneficiari a cui è impedito di partecipare ad attività pecuniarie (ad esempio beneficiari dell'assistenza sociale)
- produzione da clandestini






