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L’EDDIEtoriale: L’equazione del papero che diventò cigno

Creato il 22 febbraio 2011 da Gianclint

“25 diviso -5 = +5″ Riflettiamo insieme sul ruolo dei numeri e delle etichette.

L’ultima volta che visi

L’EDDIEtoriale: L’equazione del papero che diventò cigno
tai quell’orribile costruzione, considerata uno stadio per il calcio, intitolata a Marcantonio Bentegodi, era il 2004. Fu una delle mie ultime trasferte prima di andar via dall’Italia, quindi ricordo bene quella vittoria (0-2) che ci consentì di proseguire la cavalcata verso lo scudetto numero 17 (ad oggi l’ultimo). Sono stato a Verona in cinque occasioni, sempre in epoche diverse. Le prime quando c’era ancora l’odiato Hellas, e si viveva quella trasferta con ben altro pathos (data la feroce rivalità con le Brigate). Ormai, da quando al loro posto c’è il quartierino, è diventata una scampagnata (salvo in campo..). Così ieri, senza aver organizzato nulla, pur essendo tutti in coma dato che reduci dal saturday night, abbiamo deciso che al cuore non si comanda e siamo rimasti svegli (a furia di infuocate sfide a Fifa/Nba2k e grazie alla visione dell’All Star Game) pronti ad imboccare la A4. Vista la breve distanza da Milano ed il nostro piedino pesante sull’acceleratore, nonostante la partenza in tarda mattinata, siamo arrivati in città ben prima del match. Ma, dato che nessuno aveva voglia di passare ore ed ore dentro quella cattedrale nel deserto, ci siamo fatti un giro nel capoluogo veneto. Niente balcone della “zoccola” (cit.) o altri presunti capolinea turistici, solo un giro nei pochi bar aperti a farci qualche spritz. Poi, nel dubbio di aver dato troppo nell’occhio con le nostre sgargianti sciarpe-giacche-maglie-pantaloni-scarpe rossonere (eravamo pur sempre in casa del nemico storico… quello famoso per gli agguati 1000 contro 10) siamo tornati al desertico parcheggio di Verona sud. Mancava poco al match, tutti dentro, si comincia..

Come Nanni Moretti in “Aprile” anch’io ritengo che non valga la pena di andare a vedere un potenziale grande film se poi lo trasmettono in un cinema che non mi piace. Quello gialloblu è uno degli esempi più lampanti di come non-costruire uno stadio.. Grigio e squallido, l’unico colpo d’occhio cromatico degno di segnalazione è regalato proprio uno dei motivi che lo rendono così criticabile, ovvero la pista d’atletica dipinta di blu. Il sonoro è inquietante, basta gridare qualcosa e, manco fossi in una caverna, il suono rimbomba a profusione. La resa scenica poi è, senza eufemismi, pressoché impossibile da cogliere. Se non li avessi rivisti col il cellulare non sarei stato in grado, a fine partita, di capire né la polemica per il goal di Robinho né la bellezza del gesto di Pato. Insomma, in mancanza di stimoli dall’impianto (salvo quelli diuretici) non hai neanche la speranza possano essere i ragazzi, condannati a correre su un campo indegno perfino per la coltivazione delle patate, a giustificare la voglia di esser presenti e non davanti alla tv.

Ispirato dall’ultima pellicola di Aronofsky, col senno di poi, ammetto che sia stato possibile superare una giornata da brutti anatroccoli solo grazie ad una svista arbitrale nonché ad un istante di magia di un papero che cerca di diventare cigno. Sia il primo che il secondo atto sono stati una pena, e la salita sul palco di Alexandre pareva non bastare.. Finalmente però, quando le speranze sembravano ormai vane, una giocata degna delle sue potenzialità ha messo in secondo piano lo spazio ed il tempo: una serpentina indiavolata con il pallone che rimane fedelmente incollato al piede per infine lasciarlo e baciare il palo infilandosi in rete. Un colpo da biliardo, alla, non volendo auto-citarmi, Minnesota Fats: la punta della stecca come il piatto dello scarpino che colpiscono secco, dando poco effetto e molta direzione. Grazie Pato per non averci mandato al manicomio per l’incazzatura. Si perché, fino 37mo del secondo tempo, ci guardavamo mestamente pronti a sorbirci sms di scherno, laide moviole, e titoli a 4 colonne sulla “rimonta” abusiva (a colpi di goal in off-side non fischiati..). Per l’ennesima volta infatti non siamo stati capaci di gestire un vantaggio, ed a seguito del goal del piccolo Rob, al posto di controllare la gara e cercare il raddoppio ci siamo addormentati consentendo al Chievo di tornare in partita..e, quasi, quasi, di beffarci. Zlatan nervoso, fant’Antonio abulico, ed una squadra disunita non sembravano certo la miglior risposta alla mesta figura rimediata con gli Spurs. Solo Gattuso, ancora una volta, dava l’anima per vincere. Non è un caso che il contropiede decisivo sia partito dai suoi piedi, da quelle gambe segnate dalla lotta che non smettevano di correre e noi che gli urlavamo “passala a Pato”..Detto-Fatto… Il resto è storia.

Come ormai è storia il venticinquesimo anniversario di patron Silvio. Anni meravigliosi calcisticamente parlando, non fosse stato per il “conflitto di interessi” tra la ragione ed il cuore lo sarebbero stati ancor di più. E dato che, ormai da anni, si parla di una possibile eredità della sua presidenza, vorrei coglier l’occasione per sviare l’opprimente discorso politico spendendo invece due parole su un particolare notato stamane rivedendo il match in tv. Ovvero che dei tanti vips presenti in tribuna solo Galliani ha reagito come ci si aspetterebbe da chi ha a cuore le sorti del club. Al momento del goal che ci ha evitato un pandoro al cianuro made in Campedelli (noto tifoso piangina) baby B, proprio colei che sarebbe destinata a tale compito, sembrava indifferente. Evidentemente non aveva calcolato l’equazione del 5.  Cinque, grazie alla 53ma prodezza del predestinato, sono i punti che abbiamo mantenuto sui nemici storici, come cinque sono i punti che abbiamo perso da quando lo smemorato brasiliano siede sulla panchina della maiamata. Un dato importante in vista dello scontro diretto con i napoletani che, volenti o nolenti, sono ancora li, terzo incomodo, anzi secondo, di una sfida che domenica dopo domenica (lunedì stavolta..) andrà a decretare il destino del campionato. Mantenendo il vantaggio fino al derby di ritorno possiamo garantirci la possibilità di giocare per un doppio risultato (nel senso che anche il pari andrebbe bene) e, così facendo, giocarla con meno pressione archiviando una pratica che sembrava in discesa ed invece da qualche tempo ci angoscia. Trovo ridicolo negarlo. E’ lecito che ci sia, anzi è logico che ci sia, e bisogna tramutare quella paura in rabbia e quella rabbia in voglia di far si che siano zero le loro probabilità. La mission quest’anno, come non accadeva dai tempi di Capello, vede il tricolore ergersi sopra la coppa, è un dato di fatto, ma non basta certo prenderne atto.

Festeggiare, a proposito di ricorrenze, il 150mo anniversario dell’unità d’Italia da campioni d’Italia (111 anni di storia), sarebbe il coronamento di quella scelta d’etichetta che ci ha resi non più F(ootball) c(lub) ma A(ssociazione) C(alcio). Dobbiamo andare orgogliosi della nostra vocazione nominale che richiama alla lingua nazionale, e si distingue da un oceano di omologata esterofilia. E dobbiamo ricordare, con orgoglio, quando, a seguito della liberazione dal fascismo, strappammo l’inutile orpello “Associazione Calcio Milano” per tornare ad essere solo e sempre Milàn. Da leggersi, com’è giusto che sia, alla milanese, non all’inglese, in quanto dialetto del Naviglio che scorre nelle vene della nostra città. Forza Milan, forza Milàn e forza Italia… possiamo e dobbiamo tornare a dirlo, senza paura d’esser fraintesi!

Eddie Felson

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