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Avevo promesso alla splendida Anima di Carta un altro post, ma recentemente mi è capitato un incontro che, all’interno di un blog che tratta di editoria, credo giusto raccontare: l’incontro con l’editor.
Risale a qualche giorno fa l’inizio della mia collaborazione con un professionista di quelli tostissimi, uno con trent’anni d’esperienza e, prima di scrivergli, penso: “Per Bacco! (credo che non mi lascino usare un lessico adeguato alla descrizione precisa dei miei pensieri) Finalmente lavoro con uno che sa il fatto suo, voglio stupirlo con il mio capolavoro!"
Così butto giù un’email, azzardandomi a dire che il mio romanzo gli piacerà. Del resto, sono o no il più grande autore di narrativa vivente? A cosa volete che mi serva un editor?! Come se non sapessi scrivere quello che voglio scrivere!
Gli mando il testo e, dopo un paio d’ore, risponde. Dice che è una merda (stavolta mi si perdonerà il lessico ma è necessario). Per essere precisi, non usa proprio la siffatta espressione, merda. Lo fa con l’eleganza e il mestiere di chi, dopo trent’anni, ha ucciso dentro di sé ogni sentimento che anche vagamente ricordi la pietà.
In poche righe, l’editor, questo bastardo privo di cuore ed emozioni, mi dice che il tono è serioso, lo stile cervellotico e lambiccato, irritante, con evidenti errori di grammatica, un uso improprio del gerundio e un uso scorretto della consecutio temporum, solo per rimanere all’inizio della missiva.
Mi viene da pensare che abbia sbagliato, che abbia letto un testo per un altro, che non è possibile che ce l’abbia con me, perché gli ho spedito un capolavoro. E poi vado ad aprire l’allegato. L’editor non ha sbagliato testo. Quello che vedo è il prologo, il primo ed il secondo capitolo del mio libro, il tutto più simile ad una scena del crimine. Non c’è una riga senza una barratura, un sottolineatura, una parola evidenziata. Sembra la prima versione che il professore mi fece tradurre dall’italiano al latino, il primo anno di liceo. Un’unica, interminabile linea rossa che sventra il mio masterpiece.
Raccolgo la mascella ed esamino il cadavere. Leggo i commenti, studio le riflessioni, mi segno passaggi da rivedere ma, mentre mi chiedo che male ho fatto per meritarmi quest’apocalisse, questo castigo di Dio, questa pioggia di fuoco, questa resa dei conti da fine del mondo… succede. Succede che, a 32 anni ed in procinto d’uscire con un secondo romanzo, convinto davvero d’aver scritto un capolavoro, capisco. L’editor ha ragione. Su quasi tutto e non c’è giustificazione che tenga.
Forse puoi piacere a chi legge per passatempo, ma non a quello che lo fa per dovere. Non a chi lo fa per mestiere. Non a chi lo fa da trent’anni. E poi, bruscamente, afferro altre cose. Che non ho mai usato i “due punti” perché non lo so fare, che certi modi che ho di usare i verbi sono dialettali e italianizzati, che certi miei passaggi mancano di ritmo e non respirano.
In mezzo a quella sfilza di commenti, bocciature, cazziate… in mezzo a tutti quei “?!” e “???”… viene fuori, chiaro come il sole, che l’editor non è un mio nemico. Non è lì per distruggermi. L’editor è un tecnico che fa il suo lavoro. Come è giusto che sia. Non devo darmi la croce addosso, per il semplicissimo, genuino ed unico motivo che un buon romanzo nasce dalla collaborazione di un creativo e di un esperto competente. Un narratore scriverà con la propria sensibilità, produrrà quanto prima il cuore e poi il cervello hanno suggerito, sceglierà le parole mettendole insieme con il ritmo che ritiene migliore. È complicato pensare alle regole, imbrigliarsi mentre si crea. E, se pure lo scrittore riuscisse, il suo occhio non sarà mai quello di un professionista con un ruolo preciso. Quello di demolire.
Trovare qualcuno che ti mette spalle al muro e ti fucila, con commenti come quelli che ho ricevuto io, è una fortuna, perché di fronte c’è chi si è fatto un’idea precisa di cosa non vada nel testo, il vostro testo, proprio quello che pensavate fosse un capolavoro. Ogni correzione ha il solo scopo di migliorare il tutto agli occhi del purista, dell’addetto ai lavori, dell’editore ed infine del lettore.
Non sarà l’opinione dell’amico o del conoscente, né quella positiva della casa editrice che investirà su di voi. Sarà l’impietosa e definitiva mannaia dell’editor, che taglia, sminuzza, sfiletta e trita. Sarà chi manda giù quello che avete scritto e lo riordina, lo alleggerisce, lo strizza e fa cantare. Sarà l’editor a farvi capire quanto valete. E se il giudizio non è dei migliori, se vi viene detto che è una merda, quando vi verrà voglia di prender tutto e buttarlo nell’immondizia, ricordate che l’editor è comparso dal nulla per tirarvi fuori da un mare che lui stesso ha contribuito ad agitare. Ma quando vi avrà riportato a riva, sparirà, d’improvviso com’è apparso, lasciandovi tranquilli perché dopo andrà tutto bene.
Alessandro Cortesi
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