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L’effetto “alone”. Le difficoltà di valutare la realtà

Da Retrò Online Magazine @retr_online
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Attribution: U.S. Army.

“Non solo è bello/a: è anche simpatico e intelligente, e persino umile ed affabile!!!”
Quante volte lo abbiamo detto, a proposito di un personaggio famoso o di una persona che ci attrae fisicamente ma che non conosciamo o che conosciamo solo sommariamente?
Probabilmente, molte. Merito della persona che ci sta davanti, che- fortunata lei- oltre ad essere di gradevole aspetto, è anche dotata intellettualmente e provvista di nobili qualità morali? Talvolta. Il più delle volte, in realtà, è merito del cosiddetto ”effetto alone”, fenomeno psicologico che ci induce, inconsapevolmente, a “trasferire” la caratteristica che ci affascina di una persona su tutto ciò che la riguarda e, di conseguenza, a giudicarla positivamente in tutti i suoi tratti; ecco allora che chi è esteticamente avvenente, diventa automaticamente anche brillante, affidabile e caratterialmente piacevole.
Tale meccanismo, che naturalmente non riguarda solo l’attrattività ma anche tutte le altre caratteristiche individuali, opera del tutto inconsciamente, come dimostrano diversi studi effettuati sull’argomento, tra i quali il famoso esperimento condotto negli anni ’70 dallo psicologo sociale Richard Nisbett: lo stesso chiese a due gruppi di studenti universitari di valutare l’aspetto fisico, i manierismi e il forte accento belga di un Professore universitario, sottoponendo, al primo gruppo, un video nel quale il docente rispondeva in maniera “calda” ed estremamente cortese ai quesiti che gli venivano posti dagli allievi, e al secondo gruppo, un video nel quale, invece, il docente rispondeva in maniera decisamente “fredda” e distaccata alle domande dei discenti. Coerentemente con l’effetto alone, gli studenti che avevano visionato il video in cui il Professore si poneva in maniera più “calda” ed accogliente, diedero dei punteggi più alti alle singole caratteristiche del medesimo che erano stati chiamati a valutare rispetto a quelli che avevano visto il video in cui il docente si mostrava distaccato, senza però, mostrare alcuna consapevolezza -una volta interrogati- del fatto che il loro apprezzamento generale per l’insegnante avesse influenzato i loro giudizi. Gli studenti non avevano alcuna idea del perché avessero dato al docente punteggi elevati: erano del tutto ignari del fatto che i loro giudizi sull’aspetto fisico, sui manierismi e sull’accento belga del Professore, fossero stati condizionati dalla simpatia che egli aveva suscitato in loro.
L’esperimento di Nisbett mostra, quindi, con chiarezza, come l’effetto alone sia capace di “abbagliarci”, inficiando pesantemente i nostri giudizi sulle persone (e non solo sulle persone, in quanto tale meccanismo opera anche con riferimento ai prodotti, come ben sanno gli esperti di marketing).
L’effetto alone, in sostanza, operando come un pregiudizio, positivo o negativo (così come tendiamo a reputare tutti positivi i tratti di una persona con una caratteristica centrale positiva, allo stesso mondo abbiamo la tendenza a ritenere tutti negativi i tratti di una persona con una caratteristica centrale negativa), finisce con l’intervenire pesantemente sul processo di valutazione della realtà, portandoci a commettere degli errori.
E di vero e proprio errore si tratta, per la psicologia sociale, che lo definisce, infatti, un bias cognitivo, e cioè una distorsione della valutazione causata da un pregiudizio che può essersi formato anche in base ad informazioni non semanticamente e logicamente connesse fra loro.
Un errore psicologico che, sovente, e inavvertitamente (non siamo in grado di comprendere intellettualmente l’effetto alone sino a quando non ci imbattiamo in evidenti prove contrarie), ci porta a distorcere la realtà.
Purtroppo, l’effetto alone interviene, con riferimento soprattutto all’attrattività, nei processi di valutazione che riguardano molti aspetti importanti della realtà, come l’intelligenza, la giustizia, l’educazione della prole, l’altruismo ed il lavoro: pare che le persone di bell’aspetto abbiano maggiori probabilità di fare carriera, di essere ritenute competenti ed intelligenti e di essere giustificate in caso di prestazioni di studio o di lavoro che risultino al di sotto degli standard, buone chance di ottenere sentenze favorevoli nei processi e più elevate possibilità di essere considerate dei buoni genitori e di ricevere aiuto in caso di bisogno.
Essere belli, insomma, aiuta, anche con riferimento al giudizio di caratteristiche personali che nulla hanno a che vedere con l’avvenenza. E aiuta anche a vendere il prodotto che si pubblicizza, se si è famosi, in ragione del fatto che la gradevolezza del testimonial viene trasferita, per via dell’effetto alone, al bene.
Cerchiamo di tenerne conto la prossima volta che sentiamo l’irrefrenabile impulso di comprare le mutande sponsorizzate da Bob Sinclar o il profumo pubblicizzato da Brad Pitt o l’insalata di pasta reclamizzata da Belen Rodriguez.

Articolo di Dalila Giglio


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