Magazine Diario personale

L’ “Effetto Kinder”

Da Maddalena_pr

LO STRANO FENOMENO PER CUI MENO È MEGLIO

2015-10-31 12.45.37_pe.wprnL. raccatta il figlio all’asilo, mi segue sulla rampetta d’uscita.
La interrogo: “Vieni al parco?”
“No, non posso: G. è in castigo.”
“E sarebbe?”
Siccome non è mai felice, lo porto ed è scontento, provo a togliergli il parco per una settimana. Poi vediamo se lo apprezza.”

Ah. Ingenua di una madre (io, non lei).
Il fattaccio accadeva circa un anno fa, al momento non gli diedi molto peso. Sì, al limite la invidiai un po’, ché alla fine bypassare la sosta forzata nel bordello del parco all’ora di punta può essere un rilassante diversivo.
Eppure, nel tempo, la filosofia della mia amica L. comincia a diventarmi insospettabilmente chiara. Forse non risolutiva, ma apprezzabile.

Passata la fase ti prendo alle 2 cui seguiva rimpatrio e messa a nanna dei due figlioli, il felice ricongiungimento materno con la progenie scolarizzata ha ormai luogo alle incontrovertibili 16,30. Che, guarda caso, corrisponde all’ora della merenda. Nel frattempo i figli sono cresciuti, manifestano spiccata tendenza all’autoaffermazione, e hanno logicamente sostituito il sonnellino con un fervido desiderio di attività più o meno motorie. Queste nuove variabili mi hanno dato modo di assistere al fenomeno noto come “Effetto Kinder”.

Se esco, li prendo, li porto dritti a casa, li mollo a giocare da sé, normalmente va tutto liscio. Salvo eventuali sensi di colpa per non aver mostrato entusiasta plauso per il loro ritorno sotto forma di sorprese, attenzioni, gioco insieme.
Se però, solleticata da tali sensi di colpa, dalla responsabilità genitoriale nel plasmare le loro giovani menti e il ricordo affettivo che avranno di me e della loro infanzia, mi spingo oltre lo stretto necessario… se, insomma, decido di onorare il rientro in una qualche maniera, improvvisamente il gioco si fa duro.

Li sorprendo con merenda, parco, giro, cartone preferito al rientro: “Hm, ma perché solo questa merenda?”, mi seguono al parco mugugnando “ma io non voglio questo parco”, vengono via dicendo “ma io non voglio andare a casa”, al rientro rifiutano di togliere le scarpe e lavare le mani più del solito, infine davanti alla tv guardano il cartone stuzzicandosi a vicenda, per poi concludere, inequivocabilmente, “non voglio spegnere!”

Mentre rifletto sul vecchio adagio “si stava meglio quando si stava peggio”, tento di sedare le proteste e ritrovare il controllo inerpicandomi nell’infelice terra del rinfaccio: ma come, vi ho anche portato la brioche! Ma come, siamo stati fuori fino adesso?! Ma come, ti ho messo il cartone che volevi?!
Lì, in quel momento, soppeso spannometricamente quale dei due mali sia minore: il senso di colpa per aver compiuto il mio sterile dovere di presa figli stile corriere Bartolini… o quello della sagra del rinfaccio materno?

Ora pensate alla pubblicità dell’ovetto Kinder: avete presente? Padre e figlio che giocano in preda alla più genuina delle felicità. La scritta che illumina l’audience: “Cinque minuti prima…”
Prima di cosa? Di tanta gioia, complicità, entusiasmo: il padre è andato a prendere a scuola il figlio, dietro la schiena l’ovetto sorpresa.

Vi reinterpreto la reclam: lui (il papà) va a scuola con la sorpresa e non lei (la madre), perché le mamme ormai hanno capito che non funziona. Lui (sempre il padre) gioca felice col figlio perché avendogli fatto la sorpresa di prenderlo con tanto di merendina, quello ora rivendica tutto il pacchetto (non di merende): gioco insieme, attenzioni, parco, e così via.
Il filmato è segato lì, ma fuori onda si vede: padre agonizzante che attende il ritorno della consorte. Figlio ridotto a film on demand pur di avere un attimo di tregua. Moglie che rientra: “Cazzo è tutto sto casino?!”

Ora, se dare poco appare così maternalmente disdicevole, se fare qualche sorpresa, viziare un po’ i piccoli, è segno di premura, com’è che ho la marcata impressione che a dare di più si ottenga di meno, o, quantomeno, di “peggio”?


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