Il 16 febbraio scorso il Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian si è recato al Cairo per firmare l’accordo per la vendita di una Fregata e 24 caccia-bombardieri “Rafale”, prodotti dalla compagnia francese Daussalt e mai venduti all’estero prima d’ora. L’accordo, che vale più di 5 miliardi di euro, segna, da un lato, un deciso cambio di rotta per l’Egitto, finora ampiamente dipendente dagli Stati Uniti dal punto di vista militare e, dall’altro, evidenzia il protagonismo crescente della Francia sullo scenario mediorientale.
Parigi e il Cairo hanno sempre goduto di buone relazioni economiche, ma gli ultimi sconvolgimenti in Nord Africa, a partire dalla caduta del regime di Hosni Mubarak nel 2011, avevano raffreddato il legame tra i due governi, soprattutto in materia di difesa. Con la salita al potere di Al-Sisi e l’ascesa della minaccia jihadista nella regione, la relazione sembra essere ripartita a gonfie vele, come dimostrato dalla conclusione dell’accordo di febbraio. La Francia prevede di inviare i primi tre caccia e la Fregata in tempo per l’inaugurazione dei lavori di ampliamento del Canale di Suez; gli altri 21 verranno consegnati nei prossimi 4 anni. Il prezzo dei Rafale va da 100 a 130 milioni di dollari; essi possono raggiungere la velocità massima di 2130 km orari e hanno un raggio di azione di più di 3700 km; sono equipaggiati con un cannone da 30 mm e possono trasportare circa nove tonnellate di armamenti. Le loro capacità sono già state testate dalle forze armate francesi in Afghanistan, Mali, Libia e Iraq.
Il contratto comprende anche l’erogazione di servizi logistici e di supporto alla marina egiziana per lo sviluppo delle loro capacità e strutture industriali; missili aria-aria prodotti dalla MBDA (joint venture a cui partecipa anche l’italiana Finmeccanica) e le armi terra-aria Aster 15, inclusa la loro manutenzione. La nave prevista dal contratto sarà la Normandie, costruita dalla compagnia DCNS/Armaris. La fregata (la seconda esportata dopo quella venduta al Marocco) è realizzata nell’ambito del progetto di cooperazione italo-francese FREMM (Fregate Europee Multi-missione), gestito dall’Agenzia Europea per gli Armamenti, meglio conosciuta come OCCAR. Tale progetto rappresenta la più importante iniziativa congiunta finora attivata tra industrie europee nel settore della difesa navale e prevede, nel complesso, la costruzione di 18 navi da parte di DCNS e Fincantieri per la Marina italiana e quella francese. Il programma nasce dall’esigenza di rinnovamento delle due marine, attraverso le Fremm, capaci di operare in svariati settori, quali la lotta anti-aerea, anti-sommergibile, anti-nave e il supporto di fuoco dal mare.
Negli ultimi anni la Francia ha fatto un’enorme fatica a trovare acquirenti stranieri per i suoi Rafale. Nel 2009 la produzione è stata ridotta da 14 caccia annui ad 11, a causa del maggiore interesse per le missioni di peace-keeping e per la difesa anti-missilistica del Ministero della Difesa. Ecco perché il contratto appena firmato con l’Egitto rappresenta un’ottima notizia per la Dassault. Il Presidente della compagnia produttrice, Eric Trappier, ha ringraziato le autorità egiziane per la fiducia riposta nella compagnia e le autorità di governo francesi, senza il cui supporto non sarebbe stato possibile alcun accordo.
La Dassault Aviation, che ha iniziato la propria attività 14 anni fa, è in trattativa con l’India per la vendita di 126 jet da combattimento fin dal 2011. Secondo il contratto proposto, 18 Rafale verrebbero forniti già pronti all’uso alle forze armate indiane entro il 2015, mentre i restanti 108 sarebbero costruiti dalla compagnia indiana Aeronautica Hindustan (HAL) in India, dopo i necessari accordi di trasferimento della tecnologia francese. Il contratto che, nel suo complesso, potrebbe valere anche 20 miliardi di dollari, non è andato in porto, però, a causa di disaccordi sulla produzione indiana dei jet. A maggio 2013, il Times indiano aveva riportato la notizia che i negoziati erano ripresi e che la consegna dei primi 18 caccia era prevista per il 2017. A gennaio 2014, tuttavia, le trattative non si erano ancora concluse.
Ad aggiungersi ai vecchi disaccordi, ora vi è la disposizione secondo cui la Dassault sarebbe obbligata a reinvestire il 50% dei profitti nel settore della difesa indiano, sotto forma di acquisti o di expertise tecnologica. A marzo 2014, le due parti si sono accordate per l’invio dei primi 18 caccia pronti al volo, mentre gli altri 108 dovrebbero essere costruiti per il 70% da HAL. Anche il Qatar tratta con la compagnia francese dal 2011. L’aviazione dell’Emirato stava valutando i Rafale assieme ad altre soluzioni, come i Boeing F/A-18E/F Super Hornet, i Boeing F-15E, gli Eurofighter Typhoon e i Lockheed Martin F-35 Lightning II per rimpiazzare i Mirage 2000-5. A giugno 2014 la Dassault aveva annunciato che era vicina a firmare un contratto con il Qatar per la vendita di 72 jet, da consegnare in due tranches da 36. Più di recente si è parlato, invece, di un probabile ordine di 24 Rafale.
Nel caso egiziano, le trattative, iniziate a dicembre 2014, si sono concluse in tempi insolitamente brevi, grazie soprattutto all’intervento di Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti, che hanno finanziato metà del costo del pacchetto militare. L’impegno saudita, in particolare, si inserisce in uno sforzo più ampio, teso a rafforzare i paesi strategici nella lotta allo Stato Islamico (IS) in Siria e in Iraq. Le banche francesi BNP Paribas, Credito Agricolo e la Societé Générale hanno garantito per l’altra metà del costo dell’accordo. Inoltre, a facilitare l’esito positivo, come sottolineato da Le Monde, è stata la posizione di cliente storico dell’Egitto nei confronti dell’industria militare francese. Il Cairo, infatti, acquistò dalla Francia il primo caccia-bombardiere, un Mirage, nel 1967, dopo la guerra dei Sei giorni.
L’acquisto, secondo il Presidente Hollande, aiuterà l’Egitto ad incrementare la propria sicurezza e a giocare pienamente il ruolo di garante della stabilità regionale. Il Premier Manuel Valls ha definito l’accordo “un passo avanti fondamentale sul piano industriale, economico e del commercio estero”, mentre il Ministro delle Finanze Michel Spain ha sottolineato l’importanza del contratto per il settore e la probabilità che ve ne saranno altri in futuro. Gli ecologisti rappresentano l’unica voce fuori dal coro, con il Segretario nazionale di Europe Ecologie Les Verts (Eelv), Emmanuelle Cosse, “molto combattuta” per la vendita dei caccia francesi all’Egitto. La Cosse ha spiegato la propria contrarietà ricordando che il governo acquirente è lo stesso che sparava sui manifestanti poco tempo addietro.
Già nel 2014, la Francia si collocava tra i tre maggiori esportatori mondiali di armi, dietro Usa e Russia, e alla pari con la Gran Bretagna. L’accordo per la vendita dei Rafale conferma la linea “attivista” assunta da Hollande in politica estera, soprattutto nei confronti delle crisi che coinvolgono il continente africano e il Vicino Oriente. Il contratto, inoltre, sembra indicare un ricollocamento di Parigi a favore di Al-Sisi nello schema che vede, da una parte il Qatar, sostenitore dei Fratelli Musulmani in Egitto e delle milizie jihadiste in Sahel e in Libia e, dall’altra l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, tutti grandi clienti dell’industria militare francese e tutti rivali del Qatar nella “gestione” delle primavere arabe, in primis nel caso libico.
La scelta egiziana deriva dalla necessità di rafforzare l’apparato militare, alla luce delle crescenti minacce sia esterne che interne al paese. Al momento, le forze armate egiziane possono contare su circa 100 Mirage V e Mirage 2000, già impiegati nei bombardamenti in Libia lo scorso anno. Oltre alle armi francesi, ovviamente, l’Egitto dispone di un ampio arsenale di F-16 e fregate made in USA. È dal 2011, ormai, che l’Egitto combatte i gruppi armati nella penisola del Sinai, dove l’esercito ha perso il controllo di ampie porzioni di territorio, a tutto vantaggio del gruppo Ansar Beit al-Maqdis, che ha recentemente cambiato il proprio nome in Welayet Sinai, dopo aver giurato fedeltà allo Stato Islamico a novembre 2014. Il 2 febbraio di quest’anno il Presidente Al-Sisi ha annunciato un budget di 1,31 miliardi di dollari per finanziare la lotta al terrorismo nel Sinai.
La somma è la stessa che gli Stati Uniti elargiscono all’Egitto su base annua in aiuti economici e militari. La relazione tra Washington e il Cairo, però, non si è ancora ristabilita pienamente da quando, nel 2013, gli aiuti militari americani all’Egitto vennero sospesi dopo il coup militare che depose l’islamista Morsi e portò Al-Sisi al potere. Solo a giugno 2014 gli aiuti sono stati, in parte, sbloccati, dopo l’approvazione in Congresso di una legge che in cambio chiedeva all’Egitto di adottare misure per migliorare le condizione dei diritti umani. L’Amministrazione USA, inoltre, non ha mancato di esprimere contrarietà all’uso degli F16 nei bombardamenti in Libia dello scorso agosto. Il recente peggioramento della situazione, però, ha spinto gli Stati Uniti, ad inviare 10 elicotteri Apache a gennaio, per sostenere gli sforzi egiziani contro le minacce terroristiche.
È in questo contesto che bisogna inquadrare la decisione egiziana di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, rivolgendosi, in questo caso, alla Francia, che non pone condizioni all’impiego degli armamenti che vende. Nella stessa direzione va la cooperazione con la Russia, notevolmente migliorata se si pensa che Al-Sisi è stato a Mosca già due volte e il Presidente Putin ha da poco ricambiato la cortesia, visitando la capitale egiziana per discutere di cooperazione militare e del varo della prima centrale nucleare per la produzione di energia elettrica in Egitto, nonché di una zona di libero scambio tra i due paesi. Inoltre, probabilmente l’Egitto acquisterà anche Sukhoi Su-35 russi, pagati dall’Arabia Saudita, così da rimpiazzare i vecchi Mig 21 e J-7 cinesi.
Al-Sisi, quindi, sta sfruttando al massimo la posizione attuale del Cairo, strategica nella lotta contro il Califfato di Al-Baghdadi, per provare ad affrancarsi dalla tutela Usa. Senza parlare della nuova crisi in Yemen, che pone l’ex Generale alla guida della crociata anti-sciita della famiglia Saud, con la recente richiesta, in occasione del summit di Sharm el-Sheikh, di creare una forza militare araba per gestire la crisi yemenita e restaurare il potere di Al-Hadi.