I faraoni dell’antico Egitto occasionalmente muovevano le loro capitali costruendo nuove grandi città come monumento al loro ego.
Lo stile faraonico ha contagiato il nuovo uomo forte egiziano Abdel Fattah Al Sisi che ha deciso di costruire una nuova capitale nel deserto.
Il piano “Cairo Capitale” è uno dei mega progetti che Sisi spera di attuare attraendo investimenti stranieri, stimolando la crescita economica e ristabilendo l’orgoglio nazionale dopo anni di rivolte.
La nuova città dovrebbe lenire il congestionamento de Il Cairo, la cui popolazione stimata nel 2050 potrebbe essere di 40 milioni di abitanti.
Sarà locata a 45 chilometri dall’odierna capitale e diventerà la casa di 5 milioni di cittadini e costituirà un ponte tra le zone manifatturiere del canale di Suez oggetto del secondo mega progetto.
La cifra faraonica d’investimento di 45 miliardi di dollari è piena di stravaganti sorprese come uno spazio verde il doppio della grandezza del Central Park di New York e un parco divertimento quattro volte la taglia di Disneyland.
Il centro sarà caratterizzato da altissimi grattacieli e una struttura metallica meglio descritta come essere simile alla Torre Eiffel o al Washington Monument.
Per molti aspetti sembrerà assomigliare a Dubai, la capitale degli Emirati Arabi Uniti che hanno un reddito pro capite 10 volte superiore a quello dell’ Egitto.
Un segnale importante di come, il Presidente Sisi non abbia imparato dagli sbagli commessi dai suoi predecessori che hanno sempre sponsorizzato,con risultati disastrosi, i mega progetti come mezzo di risoluzione ai grandi problemi demografici e economici dell’ Egitto.
Il deserto è punteggiato di visionarie città tirate su per decreto. La più nota è Toshka, nella parte ovest del deserto egiziano, il cui ex Presidente Hosni Mubarak, sperava di far diventare il centro di una lussureggiante valle irrigata dal lago Nasser.
Oggi rimane per la maggior parte deserto probabilmente a causa di inefficienti piani di sviluppo e inetta leadership, ma Sisi vuole far rivivere il progetto e versare nuovi soldi nel “cattivi esempio”.
Amr Adly del Carnegie Middle East Centre precisa che l’alta crescita economica può esserci anche senza sviluppo ricordando che nel primo decennio del 2000 il boom economico egiziano è stato seguito dai una stagnazione nei servizi pubblici.
Il governo egiziano – continua Adly – non ha una precisa direzione sul come ottenere i benefici dalla crescita economica. Cerca di seguire il modello di Dubai quando sarebbe meglio seguire l’esempio indiano.
La rotta tracciata punta dritta al classico stereotipo dello stile Keynesianismo prevalente nei paesi del Golfo. Grande forza politica dietro a altrettanti grandiosi progetti pubblici finanziati da investitori esteri.
Arabtec, colosso edile degli Emirati, dovrebbe costruire un milione di abitazione per sopperire alla mancanza cronica di alloggi dell’Egitto. Il progetto è in stallo per mancanza di fondi perché ovviamente non è molto conveniente costruire case popolari.
La più grande preoccupazione è che i faraonici progetti in stile Keynesiano del Golfo possano distrarre il governo dai reali progetti. Il presidente Sisi ha fatto delle cose buone come tagliare i sussidi sui carburanti (che costituivano il 9% del PIL egiziano), ha ridotto il deficit pubblico e reso gli investimenti più facili.
Il traguardo per Sisi potrebbe essere quello di sconfiggere la boriosa e inefficiente burocrazia che rende miserabile la vita alle aziende egiziane facendo sprecare molte risorse che altrimenti potrebbero essere destinate all’istruzione, alla sanità e alla ricerca.
La vera sfida è risorgere dalla 119 posizione della classifica della competitività stilata dal World Economic Forum per un nuovo Egitto meno faraonico e meno Keynesiano, ma più giusto.
Credit by america.aljazeera.com