Inaugurato nel 1869, il Canale di Suez è la via di comunicazione artificiale che collega il Mar Rosso con il Mar Mediterraneo, permettendo la navigazione delle navi dall’Europa all’Asia (e viceversa) senza la necessità di circumnavigare buona parte dell’Africa fino al Capo di Buona Speranza.
A seguito dei lavori di allargamento del 2010, misura 193 chilometri ed e’ una delle maggiori fonti di valuta straniera per l’Egitto: nel 2013 ha registrato i più alti incassi della sua storia raccogliendo oltre 5,3 miliardi di dollari. Eppure il Canale può essere sfruttato meglio e rendere maggiormente.
A inizio agosto il presidente dell’Egitto, Abd al-Fattah al-Sisi, ha inaugurato l’avvio dei lavori per un progetto molto ambizioso che mira a espandere l’attuale capacità del Canale. Il progetto ‘Suez Canal Development Project’ ha un costo stimato di 6,4 miliardi di euro e al-Sisi vuole che sia completato in tempi brevissimi: un anno al posto dei tre inizialmente previsti. L’iniziativa è stata accolta con interesse dagli investitori, ma molti analisti hanno sollevato diverse perplessità sulla sua fattibilità in tempi brevi e sui costi previsti.
L’attuale Canale di Suez richiese dieci anni di lavoro per essere costruito, tra il 1859 e il 1869. L’idea di tagliare l’istmo di Suez risaliva all’antichità e c’erano testimonianze di vie d’acqua nella zona realizzate già dagli egizi intorno al 600 avanti Cristo. In epoca moderna in molti proposero di realizzare un canale per unire Mar Mediterraneo e Mar Rosso, ma solo dopo la spedizione in Egitto di Napoleone Bonaparte alla fine del Settecento si iniziarono a realizzare progetti credibili per la sua creazione. A metà Ottocento fu istituito un Centro studi, composto da numerosi esperti che arrivarono alla conclusione che si potesse costruire un semplice canale, senza la necessità di realizzare chiuse lungo il suo percorso perché la differenza di livello del Mar Mediterraneo e del Mar Rosso era trascurabile.
Fu scelto il progetto del tirolese Luigi Negrelli (all’epoca il Trentino era dominio dell’Impero austriaco) e, ottenuta una concessione dalle autorità egiziane, furono avviati i lavori. Alla fine il Canale di Suez costò il doppio della cifra prevista: era per il 44 per cento di proprietà del governo egiziano e di oltre 20mila piccoli azionisti francesi. A causa dell’alto debito estero, l’Egitto fu costretto a vendere la sua quota al Regno Unito pochi anni dopo, che così ottenne buona parte del controllo sui commerci verso Oriente attraverso Suez.
Oggi il Canale di Suez è di proprietà dell’Egitto attraverso l’Autorità del Canale di Suez, che ha le responsabilità sull’organizzazione e la gestione dell’intera infrastruttura. Il Canale in realtà non è unico, ma è costituito da una prima tratta che da sud verso nord mette in comunicazione il Mar Rosso con il Grande Lago Amaro. Le navi attraversano il lago e poi entrano nell’altra tratta del canale che porta fino al Mar Mediterraneo. Dopo una serie di lavori di allargamento realizzati nel 2010, il Canale di Suez oggi misura circa 190 chilometri di lunghezza ed è largo nei punti massimi intorno ai 220 metri.
Il traffico crescente degli ultimi anni ha congestionato il Canale, che spesso viene utilizzato al massimo della sua capacità, con lunghe code di navi in attesa di passare da una parte all’altra. In alcuni punti il traffico procede con un senso unico alternato, perché non c’è abbastanza spazio per fare passare le navi di grande stazza una affianco all’altra. I tempi di attesa si aggirano spesso intorno alle 18 ore per buona parte delle navi. Secondo i progettisti, grazie ai lavori di ampliamento, sarà possibile ridurre i tempi di percorrenza a 3 ore (attraverso la riduzione dei tratti a senso unico alternato), consentendo il passaggio di circa 100 navi al giorno rispetto alle 50 che transitano ora.
I lavori di ampliamento interesseranno diversi punti del Canale di Suez per un totale di 72 chilometri: in alcuni si lavorerà per allargarlo, mentre in altri punti ci si concentrerà sullo scavo del fondale per renderlo più profondo non solo nella sua parte centrale. Sarà inoltre scavato un nuovo canale, una sorta di bypass, di 34 chilometri circa. È un progetto ambizioso e il fatto che debba essere eseguito in un terzo del tempo inizialmente immaginato lo rende ancora più complicato.
Metà dei previsti 6,4 miliardi di euro sarà utilizzata per i lavori veri e propri di scavo, mentre la restante metà sarà destinata alla costruzione di infrastrutture di contorno nella zona di Suez e di Port Said, costruzione di porti, una zona industriale, una valle della tecnologia, tunnel, cantieri navali per riparazioni, stazioni di servizio per cargo e addirittura resort turistici per navi da crociera. In particolare e’ prevista la creazione di diversi porti nei tre governatorati confinanti con il canale – Suez, Ismailia e Port Said – oltre a un porto nella citta’ di Nuweiba, nel Sud Sinai, e allo sviluppo dell’aeroporto di SharmAl-Sheikh.
Per incentivare l’economia egiziana, messa a dura prova a causa della forte instabilità politica degli ultimi anni seguita alla fine del regime di Hosni Mubarak, il governo ha imposto che all’operazione di finanziamento partecipino solo finanziatori con sede in Egitto. Buona parte della costruzione, ha spiegato a metà agosto il primo ministro Ibrahim Mahlab, sarà finanziata attraverso la vendita di titoli di investimento alle principali banche d’Egitto, con un tasso di interesse al 12 per cento.
Secondo l’Autorità del Canale di Suez, una volta completato l’ampliamento, i ricavi potranno passare dagli attuali 5,3 miliardi di euro a 13 miliardi entro il 2023, grazie al maggiore traffico all’interno del Canale. Parte del denaro sarà successivamente reinvestita per il miglioramento di diverse città nella zona di Suez e per la costruzione di nuove infrastrutture.
Il lavoro di ingrandimento del Canale di Suez non sarà comunque indolore per la popolazione che vive e lavora lungo le sue coste. Il Guardian segnala che a poche settimane dall’avvio dei primi lavori sono già migliaia le persone che hanno subito sfratti e confische delle loro abitazioni, senza ricevere in cambio qualche tipo di compensazione. Gli espropri sono eseguiti dall’esercito, che ha il compito di supervisionare i lavori, e secondo diverse testimonianze per ora non sono stati annunciati piani per risarcimenti o per la ricollocazione delle persone che abitano nei punti in cui saranno creati i cantieri. Un portavoce dell’esercito ha spiegato al Guardian che tecnicamente i terreni interessati sono stati da sempre di proprietà dell’esercito, e che quindi si tratta di insediamenti abusivi.
Fonte: www.esteri.it e www.ilpost.it