L’egoismo ipertrofico del mâitre à penser catodico.
Creato il 17 giugno 2014 da Lostilelibero
Non bisogna essere figli di chi fa
figli.
Eraclito
C’è chi confonde, poco candidamente per la
verità, la bontà dei propri ragionamenti con la capacità che questi hanno di
riverberarsi nell’etere per dilatarsi al pubblico. Detto in altri termini, equivocano
la sostanza con la forma, e quest’ultima con la potenza del veicolo incaricato
di renderla ecumene.La cultura, come la società con cui vuole oggi
confrontarsi per esserne riconosciuta, è esclusivamente questione di quantità,
di mondo, di pubblico. Quantità che diventa così, inevitabilmente, il primario
indicatore di successo (a tal proposito, vien da sé, per estendere il
“prodotto” al più largo numero di “consumatori”, bisogna abbassarlo alla
comprensione dei più… la cultura declinatasi alla democrazia sembra così
svilirsi grazie al solo requisito che l’homo
democraticus accetta e riconosce: la convenienza identifica l’utile nelle
relazioni tra persone).
Il mâitre
à penser da palcoscenico si
sente quindi investito di un compito che fa lievitare il solo ego, e questo
perché sa, sempre più consapevolmente ormai, per usare le parole di Bordieu,
che:“la televisione ha una specie di
monopolio di fatto sulla formazione dei cervelli di una parte considerevole
della popolazione”.
Un
discorso sulla televisione di “qualità” non potrebbe reggersi su presupposti
più imperfetti. Chi ne proclama le gesta oggi, tutto tronfio della propria mission salvifica, manifesta un certo
strabismo nel comprendere le liturgie televisive, se non addirittura
un’insostenibile cattiva coscienza. Eppure il nuovo motto per gli aracnidi dei
palinsesti rassomiglia sempre più al grido di un fanatico in preda all’estasi
divinatoria: “la qualità, sempre, in
tutto”.
Come
una chimera, infatti, tutti la invocano, ma nessuno in realtà sembra sapere
cosa sia, né tantomeno dove la si possa trovare.
Tralasciando
i desiderata dei cultori televisivi a
loro stessi, sembra invece più semplice tentare un’interpretazione sul perché i
“tromboni dell’intellighentia
catodica” si affannino tenacemente nella difesa di questa martellante litania. Costoro,
paiono lasciarci intendere col loro pontificare, posseggono la nozione assoluta
ed irrefutabile di “qualità”, ed “altruisticamente” vorrebbero condividere
questa loro scoperta col resto dell’umanità, imponendogliela
“quantitativamente” (una questione che molti si sono criticamente posti, tra
gli ultimi Marcuse e il suo “uomo unidimensionale”:chi
educa gli educatori, e dov'è la prova che essi sono in possesso del “bene”?).
L’egoismo straccione degli uomini di spettacolo, che scoprono di voler istruire
il mondo solo per esserne infine approvati, non è in fondo molto diverso
dall’egoismo che, fosse anche in buona fede, contraddistingue gli e-ducatori tout court. Costoro infatti,
attribuendosi incomprensibilmente una posizione di superiorità rispetto ad ogni
subalterno sub-jectum (dall’inciuchito
telespettatore, all’alunno inerme che dev’essere disciplinato dalla scuola), hanno
sviluppato un egoismo ed una pienezza di sé talmente miserrimi, che riescono a
sentirsi qualcuno solamente proiettandosi nell’opinione altrui. Proprio quella,
paradossalmente, che vorrebbero redimere col loro “generoso” operato. Quel che
si dice un conflitto d’interessi patetico.
Chi
educa, o meglio chi vuole fare dell’educazione il volano per creare proseliti capaci
di riconoscere poi il merito dell’educatore in questione, autoreferenzialmente,
è quindi solo un eterno pre-potente che cerca di qualificarsi grazie all’impotenza
altrui. Che abbisogna dell’adulazione, indotta artificialmente, per sentirsi
confermare nel proprio ruolo di “duce”, quello che crede di sapere cosa sia
giusto per gli altri (giusto per non dover ammettere di non sapere cosa sia
giusto per sé).
Credendo
che ogni “qualità” sia motivo di “formatività” e pertanto serenamente
trasmissibile ed “insegnabile”, come fosse una nozione universale che nulla ha
a che vedere con la “vita specifica” di ogni uomo, questi “e-ducatori” decidono così che l’uomo sia un ineducato materiale da sgrezzare, un vuoto che attenda
ansiosamente di essere colmato dalla loro disperata pedagogia.
Poveri,
come tutti coloro che dis-prezzano per poter poi comprare a buon mercato, i
nostri educatori ridimensionano il mondo a propria lillipuziana misura, per
illudersi che esso non possa avere un valore senza il proprio insegnamento e
godersi quindi il potere finto di controllarlo.
E
così sono proprio loro stessi a creare nel bisogno questo “uomo da riempire”, ché
solo tale uomo-contenitore ne motiva la “sacra” funzione, incoraggiando
esclusivamente il loro meschino, limitante e statico autocompiacimento.
Potrebbero interessarti anche :