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L’elaborazione del lutto e del distacco: “finchè morte non ci separi”. 1 parte

Da Psychomer
by Paola Sacchettino on giugno 18, 2012

 “Quando sei nato tutti sorridevano, tu solo piangevi. Vivi in maniera che, quando morrai, tutti piangano e tu solo sorrida”. (Proverbio arabo).

“Ma lei mi manca. So bene che è lei a mancarmi, non lo stupido fantasma di un desiderio irreale. Mi accompagna ovunque con la sua assenza, non riesco a scrollare da me la certezza che si trovi nella sua stanza e che tra poco scenderà la scala di legno rosso per venire da me, si infilerà nel letto e parleremo a bassa voce della giornata che sta per cominciare. Devo ragionarci sopra per rendermi conto che, quando tra poco mi sveglierò, aprirò gli occhi su un’altra stanza, situata in una città diversa e lei non ci sarà. Ma il giorno non viene. Finché l’oscurità mi accoglie (e così sarà per sempre), lei è, nei miei pensieri, nel cuore di questo pensiero che porto in me, nel cuore tenero e dolente di questo pensiero che in verità non è il mio, ma il suo, un pensiero nel quale lei mi prende con sé, mi protegge, mi ama come io la amo, nel nulla assopito della notte” (Philippe Forest, Per tutta la notte, Alet 2006).

 Ci sono due termini usati per illustrare le reazioni che accompagnano l’esperienza di un distacco: cordoglio e lutto. Il cordoglio, dal latino cor-dolium (“il cuore che duole”) è il processo di reazioni sperimentato da chi vive una perdita e coinvolge la sfera emotiva, cogni­tiva e comportamentale della persona.

Il tipo di perdita defini­sce l’intensità e la durata del cordoglio: ad esempio il travaglio interiore che accompagna il fallimento di un matrimonio sarà generalmente più forte di quello sperimentato da chi deve lasciare per un periodo di tempo più o meno lungo, la propria nazione per compiere degli studi all’estero.

Il lutto, dal latino lugere (“piangere”) si riferisce più propriamente al tipo di perdita connesso alla morte ed inclu­de, oltre al cordoglio interiore, un insieme di pratiche e riti esterni, di natura culturale, sociale e religiosa, che l’accom­pagnano.

In alcune popolazioni permane la tradizione di vestirsi di nero da parte delle vedove; in altre si tramandano pratiche religiose o culturali che contribuiscono a dire addio al defunto, anche attraverso il supporto della comunità.

Il tema della perdita non riguarda solo il lutto per la morte di una persona significativa, ma anche situazioni quali una disabilità sopravvenuta, una diagnosi irreversibile, l’allontanamento definitivo di qualcuno di caro, un drastico cambiamento che investe la propria vita.

In ambito psicologico il primo ad aver posto l’attenzione sulle dinamiche della perdita e sul processo di elaborazione del lutto è stato Sigmund Freud (Lutto e Melanconia, in Opere,VIII; Bollati Borighieri, Torino, 1976): il lutto viene utillizzato come metafora per costruire una teoria interpretativa dei disturbi depressivi, legati non solo alla perdita di una persona amata, ma anche alla perdita di un oggetto interno, ovvero dell’immagine interiorizzata di un altro essere umano. Contributi alla comprensione del lutto fanno riferimento alle teorie dell’attaccamento e della separazione, secondo le quali ciascun essere umano è naturalmente portato a formare legami intensi e duraturi. Gli autori che si sono occupati di questo argomento sono J. Bowlby, C. Murray Parkes, E. Lindermann, P. Marris.

Il processo del lutto

John Bowlby ha ipotizzato quattro fasi del lutto:

  1. Disperazione acuta, caratterizzata da senso di stordimento e protesta. Vi può essere immediato rifiuto e sono comuni crisi di rabbia e di dolore. La fase può durare da alcuni momenti a giorni e può coinvolgere ciclicamente la persona afflitta, per tutta la durata del processo di lutto.
  2. Desiderio intenso e ricerca della persona deceduta. Questa fase è caratterizzata da irrequietezza fisica e da mancanza eccessiva verso il defunto o la persona da cui ci si è separati. La fase può durare alcuni mesi.
  3. Disorganizzazione e disperazione. La perdita comincia ad essere accettata. La persona afflitta appare dominata da una sensazione che la vita non sia reale e sembra essere chiusa in se stessa, apatica e indifferente. Spesso si verificano insonnia e calo ponderale così come la sensazione che la vita abbia perso il suo significato. La persona superstite ricorda costantemente lo scomparso.
  4. Riorganizzazione, fase durante la quale gli aspetti acuti del dolore cominciano a ridursi e la persona afflitta comincia ad avvertire un ritorno alla vita. La persona perduta viene ora ricordata con un senso di gioia, ma anche di tristezza e la sua immagine viene interiorizzata.

 


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