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L’elefante di Chissadove (un racconto per Francesco)

Da Chiagia

Nel paese di Chissadove un bel giorno trovarono un elefante.
Che non sarebbe strano, se solo Chissadove si trovasse tra le giungle del Tigrestan, ma invece è proprio strano, visto che Chissadove si trova in Italia, tra Unposto e Quellaltro.
Il primo ad accorgersi dell’elefante fu Luciano, il fornaio.
Che, per mestiere, ogni notte si alzava alle quattro e attraversava la piazza del paese, svoltava dopo la chiesa e frenava puntando i piedi in terra di fronte al suo forno.
Quel bel giorno Luciano infilò il vialone, passò la piazza, svoltò dopo la chiesa e, nell’istante in cui puntava i piedi a terra, realizzò che poco prima aveva visto un elefante.
“Sto ancora sognando”, pensò.
Tornò indietro trascinandosi la bicicletta, passò la chiesa e lo vide.
Grande, grigio, mezzo addormentato. Un elefante. A Chissadove.
Il sindaco saltò fuori dal letto non appena sentì suonare il campanello e, senza nemmeno accorgersi che era ancora notte, si vestì e spalancò la porta.
Luciano il fornaio lo fissava con occhi spiritati e borbottava qualcosa a proposito di un elefante e della piazza.
“E’ matto, ma è pur sempre il fornaio”, pensò il sindaco, per il quale i filoncini croccanti di Luciano erano la seconda gioia della vita dopo la sua amata moglie.
Quindi lo seguì in piazza e furono in due a spalancare la bocca di fronte all’elefante, che li fissava con curiosità.
Da lì in poi fu un alternarsi di gente che passava per caso e si immobilizzava con altra gente che veniva dopo aver sentito che c’era un elefante e, nondimeno, una volta arrivata si immobilizzava a sua volta.
In poche parole quando il campanile, ignaro dell’elefante, suonò le otto la situazione era curiosa. In mezzo un elefante che muoveva lento la proboscide vagamente infastidito. Attorno tutti gli abitanti di Chissadove immobili con la bocca spalancata, che per fortuna in quella stagione non c’erano le zanzare altrimenti chissà quante ne avrebbero mangiate.
Ma già al rintocco delle otto e mezza lo stupore lasciò posto al caos e i presenti, come di solito si usa tra gli umani del pianeta terra, si divisero in fazioni pronte a litigare.
Il primo gruppo, capitanato da Luciano il fornaio, litigava sul perché un elefante fosse finito in piazza a Chissadove. Qualcuno tirava in ballo gli alieni, altri l’inquinamento atmosferico, altri ancora le migrazioni dei popoli. La voce si alzava senza che nessuno ci capisse niente.
Il secondo gruppo, che si stringeva attorno al sindaco, si concentrava invece sul cosa fare di un elefante in piazza a Chissadove.
“E’ una grande occasione per rilanciare il turismo”, esclamò Antonio l’albergatore, che già vedeva le sue stanze occupate per tutto l’anno da orde di bambini intenzionati ad ammirare l’elefante.
“No, facciamoci dei salamini di elefante”, provò ad inserirsi Piero il macellaio prima di essere sommersi da una bordata di fischi.
Un terzo gruppo propose di caricarlo sul camion dei traslochi e di portarlo in Africa o in Asia, che non erano molto ferrati sulla provenienza degli elefanti ma erano almeno tutti d’accordo che a Chissadove ci potevano stare solo pecore e mucche.
Così scorse la giornata, senza che nessuno si mettesse d’accordo su niente.
L’elefante li guardava curioso e ogni tanto faceva un passetto a destra o a sinistra giusto per non farsi addormentare le zampe.
Li vide accapigliarsi, stancarsi di discutere e infine tornare nelle loro case per il pranzo e la cena, diminuire ogni volta, alla fine sparire del tutto.
Quando si alzò la luna l’elefante era solo nella piazza di Chissadove.
“Nessuno ha pensato a darmi da mangiare e da bere”, mugugnò tra sé prima di chiudere gli occhi per il sonno.
Poche ore più tardi Luciano il fornaio infilò il vialone, passò la piazza, svoltò dopo la Chiesa e…
L’elefante era sparito, pensò. Tornò indietro trascinando la bicicletta pensando che forse era passato troppo in fretta.
Dove c’era l’elefante c’era un vuoto, che sembrava ancora più vuoto una volta tolto l’elefante.
Luciano il fornaio chiamò il sindaco, che svegliò l’albergatore, che chiese al prete di suonare le campane.
Non erano ancora le sei che tutto il paese di Chissadove era raccolto intorno a uno spazio vuoto, immobile e con la bocca aperta.
Ma non passò molto tempo prima che gli abitanti si scuotessero dallo stupore e ricominciassero, manco a dirlo, a litigare.
Chi pensava che quelli di Lìvicino erano venuti a rubarlo, chi pensava che fosse uno scherzo del prete, chi diceva meglio così e chi diceva peccato però.
Se fosse stato ancora lì l’elefante e se avesse potuto parlargli gli abitanti di Chissadove avrebbero saputo perché non c’era più.
“Perché mi annoio a vedervi litigare”, avrebbe detto l’elefante.
E poi, in qualche modo, sarebbe di nuovo sparito.



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