L’emancipazione femminile del terzo millennio

Creato il 04 agosto 2013 da Elena Babetto @BabettoElana
Non c’è da meravigliarsi se la condizione femminile oggi è allarmante. Mancano tutti i presupposti per una parità di genere e manca l’elemento fondamentale: il rispetto. Parolona grossa che di questi tempi riecheggia sulla bocca di tutti per una mera figura estetica ma, in realtà, d’importanza basilare per ricostruire quello che chiaramente è andato in pezzi: il concetto di dignità e di libertà. La parità dei sessi è stata raggiunta solamente sulla carta nonostante anni di lotta e rivendicazioni. La donna continua ad essere considerata per molti, un elemento di proprietà senza possibilità di sviluppo e di accrescimento personale in quanto costretta a casa e con i figli, sottoposta a condizionamenti di vario genere che ne limitano la libertà d’azione. Fino a poco tempo fa, il valore di una donna veniva misurato solo per gli aspetti riproduttivi e per la sua propensione femminile a pensare prima ai bisogni e alla salute del marito e dei familiari e poi ai propri. Discriminata in ogni settore, in Italia, ha potuto differenziarsi soltanto con l’avvento della guerra. Fino ad allora, nulla poteva far pensare ad una donna diversamente abile dal far figli e pulire casa. La donna ha dovuto necessariamente sostituirsi all'uomo, impegnato al fronte, non solo per le decisioni educative e familiari ma anche nell'agricoltura, nelle fabbriche, nella attività commerciali e formative e più tardi ha visto la propria introduzione nel settore tessile, manifatturiero ed impiegatizio. Di importanza fondamentale sono state le crocerossine e le religiose anch'esse impegnate al fronte per assistere e medicare i feriti e i malati. Anche le scrittrici e le giornaliste hanno avuto un’importanza di rilievo, narrando fatti di cronaca e di propaganda. Purtroppo, con il cessare della guerra, i veterani tornarono riprendendo i propri ruoli gerarchici, rispedendo le donne “al loro posto” appellandosi alla retorica della maternità e del riequilibrio familiare. L’emancipazione femminile per quanto timida, ha subito un forte arresto o meglio, un’inversione di marcia con una sostanziale differenza: la donna, costretta a subire la perdita di una propria autonomia conquistatasi indipendentemente, ha acquisito la consapevolezza delle proprie abilità anche al di fuori della famiglia. Non è una considerazione da poco. Non si può dare ad un bambino una caramella per poi riprendersela. E’ naturale che farà di tutto per riuscire a riacciuffarla. Dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla liberazione della dittatura fascista ebbe inizio quel processo di ricostruzione del Paese che riconobbe la donna come entità indipendente e libera. Ottennero il diritto al voto nel 1946, anche se ben più tardi degli altri paesi (Germania 1918, Spagna 1931, Regno Unito 1928, Austria 1918, in Vaticano tuttora votano solo gli uomini e non esiste il suffragio femminile). Nel 1948 entrò in vigore la Costituzione con la partecipazione di diverse donne che concorsero alla sua scrittura. Il loro contributo fu rappresentato e sancito dell’importantissimo articolo 3 di cui tutti conosciamo il contenuto ma che per correttezza riporto di seguito: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Nonostante la presenza femminile nei vari ambienti lavorativi e le acquisizioni di alcune libertà rispetto al passato, le donne continuarono ad essere considerate una proprietà del padre, del fratello e successivamente del marito. Questa concezione era ed è purtroppo molto forte ancora nella Chiesa e in alcuni esponenti politici che continuano ad inquadrare la donna solo all'interno della realtà familiare. Ad oggi vantiamo l’entrata al Governo di un buon numero di esponenti femminili, una donna come presidente della Camera, la presenza femminile in tutti gli ambienti lavorativi (anche quelli considerati prettamente maschili), in quelli economici e sociali ma allo stesso tempo dobbiamo incorrere alla rettifica della Convenzione di Istanbul, documento che contrasta ogni forma di violenza , fisica e psicologica sulle donne e che introduce il riconoscimento della violenza domestica, dello stalking e del femminicidio, argomenti che da mesi imperversano nei telegiornali e nei talk show. Dobbiamo, in quanto l’articolo 3 della Costituzione, non è stato sufficiente. Il principio di uguaglianza degli uomini è continuamente messo a dura prova ed è stato necessario intervenire con un accordo dettagliato che mira a elencare ogni singola violenza rivolta alle donne sin da bambine (le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni combinati). Non fraintendete quello che voglio dire. Il mio stupore e la mia indignazione sta nel fatto che queste forme di violenza non sono mai state considerate tali prima di oggi e che quindi siano state permesse senza normative e punizioni. La Convenzione, che diventerà operativa soltanto dopo la rettifica di dieci Stati di cui otto appartenenti al Consiglio d’Europa, parla anche di prevenzione, protezione e assistenza e su questo c’è ancora molto lavoro da fare. Senza contare le tante assenze da parte degli onorevoli durante il dibattito e al momento del voto. La società italiana è nata e cresciuta maschilista, fatta di pregiudizi e di stereotipi che con lo sviluppo nazionale, sono rimasti tali. Non è quindi inspiegabile che in Italia ci sia ancora questa forte difficoltà e, a volte, avversità nell'accettare la parità di genere. Il dominio maschile oltre ad essere fisico/biologico è sempre stato percepito come una costruzione mentale, una visione del mondo per appagare la sua frustrante sete di dominio senza mai essere contestato e contrastato. La donna, nascendo e crescendo in questo contesto, si è integrata in questo modo di pensare e ha accettato inconsciamente la propria inferiorità. Essa nasce inconsapevolmente come essere destinato al servilismo, alla sottomissione e al dolore. Quest’ultimo è un elemento più volte presente nella natura femminile con, ad esempio, l’atto del parto. La donna è da secoli l’antitesi per eccellenza. Procreatrice di vita e quindi interiormente forte e con un alto livello di sopportazione ma allo stesso tempo vulnerabile per la sua minuta ed inferiore fisicità. Cacciata, temuta e perseguitata negli anni dell’Inquisizione perché etichettata come strega e creatura del peccato. Sono tutti chiari esempi che l’inferiorità femminile è esclusivamente una concezione mentale che solo le donne stesse possono impugnare e rivoluzionare per mezzo della presa di coscienza della loro identità. Ci vuole il raggiungimento di un’ autentica integrazione femminile. L’uomo è l’unico essere vivente che uccide e violenta i propri simili senza far distinzioni da bambini donne o anziani. La violenza nasce da una serie infinita di spiegazioni biologiche, sociali, economiche, ambientali e culturali. Partendo dal presupposto che siamo tutti sia buoni che cattivi, gli uomini che manifestano espressioni violente sono uomini in declino, talvolta con un livello culturale basso e pochi soldi in tasca. Molto spesso fanno abuso di alcool o di droga. Sono uomini sopraffatti dalla volontà di rivalsa, con una scarsa tolleranza alla frustrazione, impulsivi e antisociali. La propensione individuale nel diventare un soggetto violento deriva da diversi fattori: l’esposizione da bambini in una famiglia originaria violenta (il bambino cresce e matura il fallimento familiare e sviluppa un rifiuto di queste figure genitoriali sfogandolo con rabbia), l’avere alle spalle genitori con abusi di alcool o di stupefacenti, il vivere in ambienti con un alto livello di criminalità e con una facile accessibilità alle armi oppure in contesti sociali e ambienti disagiati e violenti, essere frustrati psicologicamente per motivi personali o fisici, etc. Questo perdurare di situazioni malsane e di criticità fisiche ed emotive possono avere conseguenze patologiche che se non gestire e non curate danno spazio a episodi di violenza verso se stessi, verso terzi o verso cose materiali. E’ dunque d’obbligo comprendere le origini del fenomeno ed intervenire in sede preventiva e quando non è possibile, tentare di correggere quello che non funziona nell'individuo stesso per raggiungere molteplici obiettivi: una vita accettabile per il soggetto patologico che non deve ledere quella degli altri. Le soluzioni ci sono e potrebbero essere applicate sin dalla scuola con l’insegnamento e la disciplina del rispetto tra compagni ed insegnanti ripartendo dall'educazione e dal buon esempio. In secondo luogo, sarebbe utile quanto necessario cominciare con il correggere l´ingiustizia della violenza con la rapidità dei processi e d’importanza rilevante con la certezza della pena. Il momento della rieducazione sociale è finalmente alle porte. Non c’è più scampo. Troppi anni gettati al vento, dati in pasto all'egoismo e al dominio di chi vuole ingrassare a discapito degli altri. E’ risaputo da sempre che la forza di uno Stato è data dal benessere del suo popolo, di tutto il suo popolo ma per anni, questo non è stato preso in considerazione, lasciando il testimone di competenza altrui. Ma come si dice, “siamo arrivati alla frutta” e dopo di essa non c’è più nulla. Rimbocchiamoci dunque le maniche e ripartiamo daccapo, con i valori e i bisogni di un tempo e riprendiamoci il benessere di allora in cui la solidarietà e l’altruismo, la forza interiore e la volontà di riuscire, alimentavano quotidianamente anima e corpo. Rieduchiamoci al rispetto e alla ricchezza interiore con una possibilità in più: accettando la donna come essere alla pari, come investimento. Si, proprio come investimento e non come una persona da sfruttare ma come arricchimento totale dove trarre beneficio in tutti i settori. Familiare, sociale, lavorativo ed economico. Vedetela come un albero da frutto che non deluderà mai. Se lasciato libero di prosperare, darà frutti di qualità sempre superiore senza particolari pretese ma con l’esclusivo riconoscimento del rispetto e della propria libertà.

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